GUIDA ALL'ASCOLTO / CONCERT GUIDE | CONCERTO N° 1487 | MIKHAIL PLETNËV

Teatro Lirico G. Verdi Trieste, Riva 3 Novembre 1, Trieste
Lunedì 21 novembre 2022, ore 20:30

Johannes Brahms (Amburgo 1833 - Vienna 1897)
Rapsodia in si minore op. 79 n. 1

Johannes Brahms 
Intermezzo in mi bemolle minore Op. 118 n. 6

Antonín Dvořák
Humoresque in Sol bemolle maggiore Op. 101 n. 7
Humoresque in Si maggiore Op. 101 n. 6
Humoresque in Fa maggiore Op. 101 n. 4
Humoresque in Fa diesis maggiore (B 138)
Egloga in Sol maggiore (B 103 n. 3)

Johannes Brahms
3 Intermezzi Op. 117
I. Andante moderato / II. Andante non troppo e con molto espressione / III. Andante con moto

Antonín Dvořák
Egloga in mM maggiore (B 103 n. 4)
Moderato in La maggiore B. 116

Johannes Brahms
Ballata in sol minore Op. 118 n. 3

Antonín Dvořák
Quadri poetici Op. 85
n. 3 Nel vecchio castello / n. 6 Ricordo doloroso / n. 9 Serenata / n. 10 Baccanale
n. 11 Pettegolezzi / n. 12 Sulla tomba dell’eroe / n. 13 Sulla montagna santa

NOTE DI SALA | Concert Guide

(English text below)

Nel dicembre 1877 il grande compositore tedesco Johannes Brahms, membro della commissione giudicatrice che assegnava le borse di studio ai compositori più promettenti nell’Impero austro-ungarico, inviò la seguente lettera al suo editore Fritz Simrock:
"Riguardo alla borsa di studio statale, da diversi anni apprezzo le composizioni di Anton Dvořák (pron. Dvorschak) da Praga. Quest’anno ha mandato – tra le altre cose – una raccolta di dieci duetti per due soprani accompagnati dal pianoforte [i Duetti moravi, N.d.A.], che mi sembrano molto graziosi e adatti alla pubblicazione. Suonali da capo a fondo, li troverai piacevoli al par mio e da editore non potrai non apprezzare il loro lato “piccante”. Dvořák ha composto di tutto, opere (in lingua ceca), sinfonie, quartetti, pezzi per pianoforte. In ogni caso, è un uomo di grande talento."

Nasceva così un legame artistico e amicale destinato a durare fino alla morte di Brahms, il quale poté ancora assistere alla progressiva affermazione del suo protetto, un poverissimo musicista ceco che solo grazie al talento e alla disciplina riuscì a conquistare un successo internazionale. Questa singolare amicizia tra due personalità così diverse è illustrata in maniera esemplare nel programma di questa sera, poiché abbraccia un periodo che va dalle prime composizioni pianistiche di Dvořák fino al prestigioso incarico come direttore del Conservatorio nazionale di New York. In quegli anni l’astro di Johannes Brahms (Amburgo, 1833 – Vienna, 1897), allora all’apice della sua carriera compositiva, volgeva lentamente al tramonto, mentre quello di Antonín Dvořák (Nelahozeves, 1841 – Praga, 1904) stava finalmente spuntando dall’anonimato per approdare alle più importanti sale da concerto di tutto il mondo.

Due compositori, dunque, che al loro primo incontro si trovavano in netto svantaggio per quanto riguarda il riconoscimento professionale. Ma il divario fra i due era perfino più ampio, dovuto alle differenti identità nazionali, e di conseguenza alle diverse esperienze musicali. Johannes Brahms era un compositore radicato nella grande tradizione sinfonica, cameristica e liederistica tedesca. Personaggio curioso e di vasta cultura, coltivava un’ampia cerchia di amicizie provenienti da ambiti molto diversi: famose le sue lettere nelle quali corrispondeva con autentiche celebrità musicali, quali la pianista Clara Wieck Schumann, il violinista Joseph Joachim e il direttore d’orchestra Hans von Bülow, come pure la sua collezione di manoscritti, sui quali studiava i maestri del passato. Antonín Dvořák crebbe invece all’interno di una cultura musicale che cercava di svincolarsi dal modello tedesco ed egli stesso contribuì al suo sviluppo con composizioni nelle quali ricorreva regolarmente a stilemi popolari. Il primo creò una grandiosa sintesi del passato musicale, mentre il secondo mirava al futuro e con la progressiva inclusione di materiale folkloristico vieppiù diversificato riuscì ad imporsi con uno stile personalissimo, nel quale l’elemento ceco si fonde con quello americano.

Le caratteristiche appena descritte sono ampiamente riscontrabili nel programma presentato. La forma della Rapsodia in si minore op. 79, composta da Brahms nel 1879, ad esempio ricalca quella della sonata classica, seppur in maniera del tutto arbitraria, ricreando quel tipico discorso dialettico tra due temi contrastanti. Il primo tema, riconoscibile dalla semiminima puntata seguita da una terzina di semicrome, con la sua irruenza cerca di imporsi continuamente sul secondo tema. Quest’ultimo, caratterizzato da un andamento lirico e probabilmente modellato su una melodia di origine popolare, riuscirà a spiegare il suo canto appena nella parte intermedia in si maggiore, per poi ripiombare repentinamente nella ripresa del primo tema. Sarà la coda della composizione a decretare il trionfo dell’elemento lirico su quello drammatico.

Nei successivi tredici anni il compositore tedesco decise di dedicarsi agli ambiziosi progetti sinfonici che aveva rimandato a lungo. Solo dopo aver esaurito questa passione per le grandi forme ritornò alla miniatura pianistica che aveva già esplorato nei suoi primi lavori. L’improvviso cambiamento stilistico fu probabilmente dettato dai lutti che dal 1892 in poi si susseguirono senza tregua, spingendo il compositore a rifugiarsi in una dimensione sempre più intima e raccolta. Risalgono a questo anno infatti la perdita della sorella Elisabeth “Elise” Brahms (1831–1892) e dell’allieva prediletta Elisabet von Herzogenberg (1847–1892), brillante pianista e dedicataria delle Rapsodie op. 79, per la quale il compositore nutriva un profondo affetto. I Tre intermezzi op. 117 sono stati descritti da Brahms come delle “ninne nanne dei miei dolori”, nelle quali il cullante ritmo ternario accompagna temi e melodie dal sapore antico. Nell’intestazione del primo Intermezzo in mi bemolle maggiore compaiono infatti i versi di una canzone scozzese che Johann Gottfried Herder incluse nella sua celebre raccolta di canti popolari (Volkslieder, 1778 e 1779), dal 1807 riproposta con il titolo di Stimmen der Völker in Liedern:
"Schlaf sanft, mein Kind, schlaf sanft und schön!
Mich dauert's sehr, dich weinen sehn."
"Dormi dolcemente, bimbo mio, dormi dolcemente e tranquillo!
Mi si spezza il cuore nel vederti piangere."

Si tratta di un canto rinascimentale, risalente al Cinquecento e poi rielaborato in varie trascrizioni, conosciuto ancor oggi come il Lamento di Lady Ann Bothwell, nel quale una ragazza sedotta e abbandonata cerca di calmare il proprio bambino, frutto di quell’amore infelice. L’inclinazione brahmsiana di comporre temi musicali su modelli preesistenti si può riscontrare già nei suoi primissimi lavori pianistici, come ad esempio nelle due Sonate per pianoforte op. 1 e 2, nelle quali cita testi e melodie dei minnesänger tedeschi, probabilmente approfonditi durante i suoi studi della musica antica. La Ballata in re minore op. 10 n. 1 cita invece una ballata scozzese e non è escluso che questa ispirazione abbia influito anche sulla composizione degli altri due intermezzi dell’op. 117.

La ricerca di una dimensione intima sta alla base anche della successiva raccolta pianistica, i Sei pezzi per pianoforte op. 118, nei quali abbiamo l’impressione che una triste rassegnazione abbia spento l’eco di antiche glorie. La Ballata in sol minore è infatti animata da una spinta eroica che sfocia in una tenera melodia dal ritmo cullante nella parte intermedia, mentre l’Intermezzo in mi bemolle minore è una cupa riflessione dalla quale il compositore si risolleva di tanto in tanto. Anche questa composizione, così come le precedenti, è caratterizzata da un andamento rapsodico, nel quale riconosciamo solo vagamente le forme della sonata o della canzone. La musica assomiglia infatti ad una libera improvvisazione che si adatta ai vari stati d’animo e in questo senso abbiamo una preziosa testimonianza della pianista Ilona Eibenschütz (1873–1967), alla quale Brahms nel 1893 riservò l’onore di ascoltare le sue ultime composizioni in anteprima assoluta. Sessant’anni dopo in un’intervista radiofonica per la BBC ricordava ancora vividamente che il celebre compositore “suonava come se stesse semplicemente improvvisando, con il cuore e l'anima, a volte canticchiando fra sé e sé, dimentico di tutto. Il suo modo di suonare era nel complesso grandioso e nobile, alla maniera delle sue composizioni.”

All’indole malinconica di Brahms si contrappone il temperamento gaio di Dvořák. Il compositore ceco segue un percorso parallelo, arricchito dalla musica popolare slava, che incorpora a più riprese nel corso della sua attività compositiva. Nel suo primo “periodo slavo” (1875–1881) compone pezzi pianistici che ricalcano i ritmi caratteristici delle danze di origine ceca: è il caso del Minuetto in la bemolle maggiore che a discapito del titolo è una sousedská, una specie di valzer lento, o della quarta Egloga in mi minore op. 56 con il suo alternarsi tra ritmo binario e ternario, tipico del furiant. Tra gli altri elementi che concorrono ad accentuare il colore locale c’è anche l’uso della citazione: la già menzionata egloga si avvale infatti di un’ampia melodia lirica che compare anche nella parte centrale della prima Danza slava op. 72 (1886/1887), mentre il Moderato in la maggiore B116 assomiglia alla prima Leggenda op. 59 (1881/1882), composta nello stesso anno.

Il secondo “periodo slavo” di Dvořák (1886–1892), che comprende gli anni prima della partenza per l’America, si arricchisce di elementi poetici che il compositore ceco attribuiva all’influenza di Robert Schumann, ma che potremmo far risalire fino a Ludwig van Beethoven. I suoi Quadri poetici op. 85 sono infatti un ciclo di 13 composizioni dai titoli posticci, il cui intento non è descrivere il concetto espresso, ma veicolare emozioni e stati d’animo ad esso associati. Più “espressione di sentimenti che pittura”, come scrisse Beethoven riguardo alla sua Sesta sinfonia, soprannominata Pastorale, e infatti le melodie, i ritmi e le armonie di Dvořák cercano di creare un’atmosfera per poi sfumarla ancor prima di definirla.

Il gruppo delle Humoresques appartiene al periodo americano (1892–1895), durante il quale Antonín Dvořák visse e insegnò a New York. Incaricato di creare uno stile musicale tipicamente americano, ascoltò e annotò i canti dei nativi americani oltre agli spirituals afroamericani, integrandoli nella propria musica. Ne nacque una commistione di stili molto singolare, dove l’ambiguità armonica, la scala pentatonica e le modulazioni inconsuete si rifanno sia alla musica popolare slava che a quella americana. Un lato “piccante” che Brahms è stato in grado di rilevare già nel lontano 1877, ma soprattutto una straordinaria capacità di assimilare ed amalgamare influssi sempre nuovi senza sminuire la tradizione.
 

Sara Zupančič

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In December 1877 the great German composer Johannes Brahms, a member of the judging commission which awarded scholarships to the most promising composers in the Austro-Hungarian Empire, sent the following letter to his publisher Fritz Simrock:
"Regarding the state scholarship, for several years I have appreciated the compositions of Anton Dvořák (pron. Dvorschak) from Prague. This year he sent - among other things - a collection of ten duets for two sopranos accompanied by piano [Duets Moravians, N.d.A.], which seem to me very nice and suitable for publication. Play them through and through, you will find them pleasant in my opinion and as a publisher you cannot fail to appreciate their "spicy" side. Dvořák composed everything, works (in Czech language), symphonies, quartets, piano pieces. In any case, he is a very talented man."

Thus was born an artistic and friendly bond destined to last until the death of Brahms, who was still able to witness the progressive affirmation of his protégé, a very poor Czech musician who managed to achieve international success only thanks to his talent and discipline. This unique friendship between two very different personalities is exemplarily illustrated in tonight's program, spanning a period from Dvořák's first piano compositions to his prestigious position as director of the New York National Conservatory. In those years the star of Johannes Brahms (Hamburg, 1833 - Vienna, 1897), then at the peak of his compositional career, was slowly turning to sunset, while that of Antonín Dvořák (Nelahozeves, 1841 - Prague, 1904) was finally appearing from anonymity to reach the most important concert halls around the world.

Two composers, therefore, who at their first meeting found themselves at a distinct disadvantage as regards professional recognition. But the gap between the two was even wider, due to different national identities, and consequently to different musical experiences. Johannes Brahms was a composer rooted in the great German symphonic, chamber and lieder tradition. A curious and vastly cultured character, he cultivated a wide circle of friendships from very different backgrounds: his letters are famous in which he corresponded with authentic musical celebrities, such as the pianist Clara Wieck Schumann, the violinist Joseph Joachim and the conductor Hans von Bülow, as well as his collection of manuscripts, on which he studied the masters of the past. Antonín Dvořák, on the other hand, grew up within a musical culture that sought to free itself from the German model and he himself contributed to its development with compositions in which he regularly resorted to popular styles. The first created a grandiose synthesis of the musical past, while the second aimed at the future and with the progressive inclusion of increasingly diversified folk material he managed to establish himself with a very personal style, in which the Czech element merges with the American one.

The features described above are widely found in the program presented. The form of the Rhapsody in B minor op. 79, composed by Brahms in 1879, for example follows that of the classical sonata, albeit in a completely arbitrary way, recreating that typical dialectical discourse between two contrasting themes. The first theme, recognizable by the dotted crotchet followed by a triplet of sixteenth notes, with its vehemence tries to impose itself continuously on the second theme. The latter, characterized by a lyrical trend and probably modeled on a melody of popular origin, will manage to explain his singing just in the intermediate part in B major, to then suddenly fall back into the reprise of the first theme. It will be the tail of the composition to decree the triumph of the lyrical element over the dramatic one.

For the next thirteen years, the German composer decided to devote himself to the ambitious symphonic projects that he had been putting off for a long time. Only after having exhausted this passion for large forms did he return to the piano miniature that he had already explored in his earlier works. The sudden stylistic change was probably dictated by the deaths that followed one another without respite from 1892 onwards, prompting the composer to take refuge in an ever more intimate and intimate dimension. In fact, the loss of her sister Elisabeth "Elise" Brahms (1831-1892) and of her favorite pupil Elisabet von Herzogenberg (1847-1892), brilliant pianist and dedicatee of the Rhapsodies op. 79, for which the composer had a deep affection. The Three Interludes Op. 117 have been described by Brahms as "lullabies of my pains", in which the lulling ternary rhythm accompanies themes and melodies with an ancient flavour. Indeed, In the heading of the first Intermezzo in E flat major there appear the verses of a Scottish song that Johann Gottfried Herder included in his famous collection of popular songs (Volkslieder, 1778 and 1779), reproposed since 1807 with the title of Stimmen der Völker in Liedern :
"Schlaf sanft, mein Kind, schlaf sanft und schön!
Mich dauert's sehr, dich weinen sehn."
"Sleep sweetly, my child, sleep sweetly and peacefully!
It breaks my heart to see you cry."

It is a Renaissance song, dating back to the sixteenth century and then reworked in various transcriptions, still known today as Lady Ann Bothwell's Lament, in which a seduced and abandoned girl tries to calm her child, the fruit of that unhappy love. The Brahmsian inclination to compose musical themes on pre-existing models can already be found in his very first piano works, such as for example in the two Piano Sonatas op. 1 and 2, in which he quotes texts and melodies by German minnesängers, probably deepened during his studies of early music. The Ballade in D minor op. 10 no. 1 instead mentions a Scottish ballad and it is not excluded that this inspiration also influenced the composition of the other two interludes of op. 117.

The search for an intimate dimension is also the basis of the subsequent piano collection, the Six pieces for piano op. 118, in which we have the impression that a sad resignation has extinguished the echo of ancient glories. The Ballade in G minor is in fact animated by a heroic thrust that flows into a tender melody with a lulling rhythm in the intermediate part, while the Intermezzo in E flat minor is a dark reflection from which the composer recovers from time to time. Also this composition, as well as the previous ones, is characterized by a rhapsodic trend, in which we only vaguely recognize the forms of the sonata or song. In fact, the music resembles a free improvisation that adapts to various moods and in this sense we have a precious testimony of the pianist Ilona Eibenschütz (1873-1967), to whom Brahms in 1893 reserved the honor of listening to his latest compositions absolute preview. Sixty years later in a radio interview for the BBC he still vividly recalled that the celebrated composer "played as if he were simply improvising, with heart and soul, sometimes humming to himself, forgetful of everything. His playing was on the whole grand and noble, in the manner of his compositions."

The melancholic nature of Brahms contrasts with the cheerful temperament of Dvořák. The Czech composer follows a parallel path, enriched by Slavic popular music, which he incorporates several times in the course of his compositional activity. In his first "Slavic period" (1875-1881) he composed piano pieces that follow the characteristic rhythms of dances of Czech origin: this is the case of the Minuet in A flat major which, to the detriment of the title, is a sousedská, a kind of slow waltz, or of the fourth Eclogue in E minor op. 56 with its alternation between binary and ternary rhythm, typical of the furiant. Among the other elements that contribute to accentuating the local color there is also the use of the quotation: the aforementioned eclogue in fact makes use of a broad lyrical melody that also appears in the central part of the first Slavic Dance op. 72 (1886/1887), while the Moderato in A major B116 resembles the first Legend op. 59 (1881/1882), composed in the same year.

Dvořák's second “Slavic period” (1886–1892), which includes the years before his departure for America, is enriched with poetic elements that the Czech composer attributed to the influence of Robert Schumann, but which we could trace back as far Ludwig van Beethoven. His Poetic Pictures op. 85 are in fact a cycle of 13 compositions with false titles, the intent of which is not to describe the concept expressed, but to convey the emotions and moods associated with it. More "expression of feelings than painting", as Beethoven wrote about his Sixth Symphony, nicknamed Pastorale, and in fact Dvořák's melodies, rhythms and harmonies try to create an atmosphere and then fade it even before defining it.

The Humoresques group belongs to the American period (1892–1895), during which Antonín Dvořák lived and taught in New York. Charged with creating a quintessentially American musical style, he listened to and noted Native American chants as well as African American spirituals, integrating them into his own music. The result was a very singular mixture of styles, where the harmonic ambiguity, the pentatonic scale and the unusual modulations refer to both Slavic and American popular music. A "spicy" side that Brahms was able to detect as early as 1877, but above all an extraordinary ability to assimilate and mix ever new influences without belittling tradition.
 

Sara Zupančič

Curiosando

1833

Nell’anno della nascita di Johannes Brahms, il poeta Alfred Tennyson compone la celeberrima poesia Ulysses, nella quale descrive un eroe ormai anziano, ma ancora alla disperata ricerca di nuove avventure. L’ultimo verso “to strive, to seek, to find, and not to yield” (lottare, cercare, trovare e non arrendersi) incarna le inquietudini romantiche di tutta una generazione. Nello stesso anno, Felix Mendelssohn completa ed esegue per la prima a volta a Londra la sua Sinfonia in la maggiore op. 90, conosciuta con il titolo di Italiana.

1841

Prima guerra dell’oppio: l’Inghilterra ordina un intervento militare contro l’Impero cinese in seguito alle gravi dispute commerciali tra i due Paesi. La Cina sconfitta viene sottomessa a dei trattati ineguali, che segnano l’inizio dell’imperialismo occidentale nell’Estremo Oriente. A Parigi si esegue per la prima volta il balletto Giselle di Adolphe Adam, ispirato da una leggenda slava trascritta da Heinrich Heine.

1897

Nell’anno in cui Guglielmo Marconi e Thomas Alva Edison brevettano rispettivamente la radio e il cinetoscopio (precursore del proiettore cinematografico), il pittore Paul Gauguin, rifugiato a Tahiti e gravemente ammalato, si interroga sul senso della vita nel quadro D'où venons-nous? Que sommes-nous? Où allons-nous?.

1904

A febbraio scoppia la guerra russo-giapponese. Nello stesso mese, l’opera “giapponese” di Giacomo Puccini dal titolo Madama Butterfly viene fischiata alla Scala di Milano. Il suo successo fu decretato dalla ripresa a Brescia appena tre mesi dopo, in una versione leggermente modificata. Il 16 giugno James Joyce e Nora Barnacle s’incontrano al loro primo appuntamento: la data, commemorata negli anni a venire con il nome di Bloomsday, diverrà la cornice temporale del capolavoro joyciano Ulysses.