Wolfgang Amadeus Mozart
Quartetto per archi n.19 in Do maggiore “Delle dissonanze” K465
Quartetto Jerusalem, note di sala con guida all'ascolto
Dmitrij Dmitrievič Šostakovič
Quartetto per archi n. 12 in Re bemolle maggiore, op. 133
Antonin Dvořák
Quartetto per archi n.13 in Sol maggiore, op.106
NOTE DI SALA
Le dissonanze che danno il nome a questo quartetto stanno nelle prime battute dell’Adagio introduttivo. Non c’è nulla di rivoluzionario, in realtà, in quelle armonie, non per l’epoca e men che meno per le nostre orecchie moderne. Lo stesso Haydn aveva più volte sperimentato dissonanze anche più ardite nei suoi quartetti precedenti. Tuttavia, in queste battute mozartiane le suggestive frizioni che nascono dal sovrapporsi di minimi e differenti incisi melodici su una misteriosa base ritmica ostinata generano un colore sonoro del tutto nuovo, che turbò i contemporanei e diede idee ai posteri. Beethoven, in particolare nei suoi grandi ultimi quartetti, finì col riprendere numerose volte proprio quel principio di sovrapposizione di materiali spigolosi in funzione espressiva. Dopo tutto, quando si parla di pre-romanticismo in Mozart una delle prime pagine strumentali che vengono in mente è proprio questo Adagio. Seguendo l’insegnamento del maestro Haydn, il «materiale» dell’Adagio serve come base per la costruzione del successivo Allegro che risulta in fondo monotematico in quanto le sue due melodie principali hanno un’origine comune. Lo schema è quello consueto della forma sonata. Lo sviluppo è vigoroso, la conclusione trascinante. Il successivo Andante cantabile segue un principio opposto. Il disegno è semplice: bipartito, senza sviluppi e costruzioni ardite. Invece la sostanza melodica è perfino sovrabbondante. Per dirla con il classico e autorevole biografo Hermann Abert, “c’è segreto struggimento nello splendido arco della melodia principale, con estasi sognante negli episodi secondari intessuti di brevi, lievi motivi … Il tema secondario ricorda, per i suoni ripetuti, l’entrata in dissonanza e la condotta imitativa, una parte dell’Andante della grande sinfonia in Mi bemolle maggiore. Mentre il Minuetto torna nuovamente all’atmosfera del primo tempo e il Trio centrale introduce oscuri accenti di passioni, nel finale il cielo si rischiara del tutto. Non è la sfrenata allegria di Haydn, ma una gaiezza più trattenuta, che nell’episodio in la bemolle assume di nuovo toni nobilmente entusiastici: così anche in questo quartetto Mozart si mantiene fedele al contrasto di fondo enunciato già nel primo tempo.” Tutti questi vistosi elementi haydniani non sono ovviamente un fatto casuale. In questo quartetto, sesto e ultimo della serie di sei dedicata al maestro (putativo) Haydn, Mozart convince soprattutto sé stesso di avere imparato tutti i segreti della scrittura e della forma del genere quartetto. Ogni pagina della partitura trasmette un senso di legittima soddisfazione per il magistero tecnico raggiunto e per la scioltezza della scrittura. La lunga sperimentazione, iniziata a fine 1782 e durata ben tre anni, davvero finisce qui. Mozart decide di non andare oltre, anche tenendo conto della grande fatica che gli era costato arrivare fino a quel punto. Dopo questo “quartetto delle dissonanze”, completato il 14 gennaio 1785, ci saranno soltanto quattro nuovi lavori nel genere: l’isolato K 499 (datato 1786) e la terna K 575, 579, 580 (1789). Sono tutti gradevoli e interessanti, alcuni molto belli, ma nessuno è davvero innovativo. L’esempio di un maestro putativo lontano, anima l’intera e lunga serie di quartetti per archi di Šostakovič. In questo caso si tratta di Beethoven, che sappiamo a sua volta allievo diretto di Haydn (e meno di Mozart). Cui va aggiunto anche il poco più anziano (una generazione) Bartók. Senza dimenticare decisive contingenze biografiche, dalle quali conviene partire. Šostakovič compose il primo dei suoi 15 quartetti nella primavera del 1938. Dunque, subito dopo il drammatico caso della sua opera teatrale Lady Macbeth del distretto di Mcensk, fulminata nel 1936 dalla feroce stroncatura “caos invece di musica” pubblicata sulla Pravda e attribuita addirittura a Stalin. Si era nel pieno delle tragiche “purghe” che portarono alla fucilazione anche del maresciallo capo supremo dell’esercito Michail Tuchacevskij, suo amico, violinista dilettante che lui accompagnava spesso al pianoforte. Gli era stato imposto di testimoniare contro l’amico, accusato di tradimento. Ma l’agente inquirente “sparì” prima dell’arresto/interrogatorio e Šostakovič scampò a una sicura fine tragica. È vero che con la trionfale prima esecuzione della Quinta sinfonia, scritta subito dopo (1937) per rispondere alla “giusta critica” (!) aveva recuperato la benevolenza del regime, ma quel colpo durissimo rimase. La ferita lasciò una cicatrice profonda nell’animo mite di Šostakovič, trasformando le ansie congenite in pessimismi e depressioni sempre più profonde, segnandone la produzione del trentennio successivo. Si sente bene nel percorso delle ultime dieci sinfonie, che progressivamente lasciano le rutilanti sonorità gradite al regime e fanno dell’economia dei mezzi uno strumento di scavo interiore. Si sente ancor più nella parallela collana di quindici quartetti che inizia proprio in quel tempo angoscioso. Il rifugio nell’intimità del più ascetico eppure completo organico della musica da camera (due violini, una viola, un violoncello) è stimolato anche dalla pressante richiesta del giovane Quartetto Beethoven di Mosca, ma è chiara la volontà di Šostakovič di continuare le sue sperimentazioni artistiche lontano dall’esposizione mediatica di teatri e di grandi sale concerto. Si coglie bene scorrendo l’intera collana, fatta di lavori sempre diversi nella forma e nella sostanza. Si capisce la continuità con la tradizione classica e a un tempo rivoluzionaria degli ultimi quartetti del “maestro” Beethoven, soprattutto nella forma che si rinnova ai bordi archetipi dei canonici quattro movimenti. Si sente il modello linguistico del “quasi” contemporaneo Bartók, con i frequenti inserimenti di incisi di origine popolare russa, caucasica, araba, ebraica. E non mancano, anzi alla fine prevalgono, i richiami all’attualità dodecafonica. Quest’ultimo aspetto è ben evidente proprio nel Dodicesimo quartetto oggi in programma. Inizia con un assolo di violoncello che espone di seguito tutte le dodici note della scala musicale temperata. È di sicuro un riconoscimento al ruolo storico della dodecafonia inventata da un altro “quasi” contemporaneo, Arnold Schönberg. Ma non è segno di rottura rivoluzionaria o di ribellione verso l’estetica sovietica del tempo. È invece punto di arrivo di una lunga ricerca di espansione dell’ambito armonico consolidato per trovare nuove e personali regioni espressive. Infatti, quelle prime dodici note non si sviluppano come serie dodecafonica, ma come materiale utile per tracciare un percorso che, nella prima parte di questo quartetto, si svolge fuori dallo schema dialettico della forma sonata e, invece, alterna due pannelli distinti nella dinamica ma associati nella sostanza: “Moderato-Allegretto-Moderato-Allegretto-Moderato”. Volendo, quei pannelli possono essere riclassificati come movimenti distinti (ma connessi) di una composizione indipendente. Ovvero, in altro modo ancora, secondo una logica combinatoria che da sempre affascina Šostakovič. Con l’avvertenza che il termine Allegretto va inteso come indicazione dinamica e non certo emotiva, o rilassante. Analogo schema, con aggiunta di un Adagio, è ripreso nella seconda parte del Quartetto. Ancora una volta abbiamo un’intensa elaborazione di un materiale che, a un tempo, è totale (l’intero spazio armonico) e scarno (soltanto gli archi essenziali). Ancora una volta Šostakovič ci stupisce per la sua modernità, tuttora in gran parte incompresa. Il Quartetto n. 12 op. 133 fu composto nel 1968 ed eseguito per la prima volta dallo storico Quartetto Beethoven a Mosca il 14 giugno dello stesso anno. Sempre in tema di “maestri” putativi, giungiamo a Dvořák e troviamo Mozart, ben più di Haydn e anche ben più del pur imprescindibile Beethoven. Nel suo tredicesimo (e penultimo) quartetto vince ancora una volta la vena melodica, in tutti i suoi consueti quattro movimenti. Il taglio formale è limpido, l’alternanza e la sovrapposizione dei motivi sono armoniose, i contrasti dialettici limitati all’essenziale. Appunto com’era, nell’immaginario del epoca (e, spesso, anche dei nostri giorni) lo spirito della musica di Mozart. Dimenticando il fondo demonico (in senso goethiano) che, invece, ne è il fondamento. In realtà anche questo maturo capolavoro di Dvořák merita attenzione non superficiale. Viene da una lunga frequentazione del genere, iniziata nel 1862 e continuata regolarmente fino al 1895, in cui s’intrecciano le più varie influenze musicali del mondo asburgico e pangermanico, dunque anche di Schubert e dell’amico Brahms. Si scorge il momento americano (1892-94) con i profumi autoctoni della Sinfonia dal Nuovo Mondo e del Quartetto n. 11 appunto detto Americano. Il ritorno in patria porta alla sintesi con gli ultimi due lavori nel genere, con nuovo risalto al cemento che tutto lega: l’anima boema che si rivela nell’ampia cantabilità dei motivi del primo movimento, nell’espressività dell’Adagio ma non troppo, nel variato carattere danzante del terzo movimento, nel focoso finale. Il tutto con l’equilibrio formale e la levità di scrittura che si attribuisce al Mozart “olimpico”. Scritto fra novembre e dicembre 1895 il Quartetto n. 13 in sol maggiore fu eseguito per la prima volta a Praga il 9 ottobre 1896.
Enzo Beacco
1785 - Napoli, ad opera del Re Fedinando I, diviene il centro degli accadimenti musicali, riaccogliendo Giovanni Paisiello di ritorno dalla Russia e con Domenico Cimarosa nominato organista della Cappella Reale. A Dresda il 12 Gennaio Mozart mette in scena Il Ratto dal Serraglio, nel giorno in cui giunge in città la notizia che 5 giorni prima i pionieri del volo Blanchard e Jeffries erano riusciti ad attraversare La Manica con un pallone ad idrogeno. Giacomo Casanova riesce a farsi nominare “bibliotecario” del castello di Dunchov, in Boemia, dove scriverà le sue memorie.
1968 - A Febbraio i Beatles, Mia Farrow, Donovan, Mike Love e tante altre celebrità musicali si recano in India dal guru della meditazione trascendentale Maharishi Yogi. A Settembre i primi esseri viventi orbitano attorno alla Luna e tornano sani e salvi sulla Terra: sono due tartarughe, alcuni insetti, vegetali e batteri a bordo della navicella russa Zond. A Monaco di Baviera viene inaugurata la Torre Olimpica, 4 anni prima dei Giochi del 1972.
1895 - I Promenade Concerts, dove il pubblico passeggia liberamente mentre ascolta la musica, fanno il loro debutto al coperto, alla Queen’s Hall a Londra. All’Accademia Reale Svedese delle Scienze viene presentato il primo studio in assoluto sull’Effetto Serra nel clima. The Times pubblica la prima edizione dell’ Atlante del Mondo.