NOTE DI SALA
Mario Castelnuovo-Tedesco (Firenze 1895 – Beverly Hills 1968)
“Cipressi”, Op. 17
Nella produzione musicale del fiorentino Mario Castelnuovo-Tedesco si trovano soprattutto composizioni vocali e corali. L’ambizione del compositore, profondo conoscitore di letteratura e poesia, era infatti esternare in musica l’espressione lirica di quei componimenti poetici che lo avevano maggiormente coinvolto. L’autore musicò opere di autori quali Petrarca, Shakespeare e Lorca, caratterizzando il proprio linguaggio compositivo attraverso l’utilizzo di uno stile che incorporava elementi tardoromantici, folkloristici ed impressionistici. Unitamente alla letteratura un’altra forma d’ispirazione fondamentale per il compositore fu l’elemento naturale, divenendo, in opere come “Cipressi”, veicolo di profonde ed intime riflessioni. Nell’op. 17, composta nel 1920 durante un soggiorno estivo presso la cittadina toscana di Usigliano, dei gravi accordi iniziali generano una sensazione ombrosa che, pur presagendo un clima austero, si dissolve brevemente in una delicata idea tematica dal carattere rimembrante. Tale idea, riproposta continuativamente alterna colori scuri ed angosciosi ad altri più fluenti e luminosi, permeando il brano di un clima di velata tristezza, fino alla sua sommessa conclusione.
Robert Schumann (Zwickau 1810 – Bonn 1856)
Fantasia in do maggiore per pianoforte, Op. 17
Quando nel 1835, Robert Schumann venne raggiunto dall’invito di Franz Listz di partecipare alla raccolta di fondi da destinare alla costruzione di un monumento in memoria di Ludwig van Beethoven, vi aderì con entusiasmo proponendosi di realizzare una maestosa sonata per pianoforte. La scelta di tale forma non era un caso; l’intento di Schumann era infatti quello di ispirarsi ai grandi modelli classici, apportando alcuni elementi di novità, nell’intento di creare un collegamento ideale con le grandi sonate beethoveniane. La stesura dell’opera ebbe inizio nel 1836 e venne terminata solamente nel 1839 arricchendosi di una quantità di significati emotivi che andavano ben oltre un ideale omaggio al maestro di Bonn. In quel periodo infatti la distanza forzata dall’amata Clara, a causa dell’opposizione del padre di quest’ultima alle loro nozze, fu un motivo di grande turbamento per il compositore di Zwickau che in una lettera inviata alla donna così scriveva:” Il primo tempo è davvero quanto di più appassionato abbia mai scritto: un profondo lamento per te ”:. Il brano venne infine pubblicato con il titolo di Fantasia e dedicata a Listz. Nonostante le ascendenze classiche, nell’op. 17 troviamo spunti e contenuti espressivi del tutto nuovi, che contribuiscono a rendere il componimento più attuale. L’indicazione posta in apertura del primo movimento, “Da suonarsi interamente in modo fantastico e appassionato”,denota la grande intensità emotiva presente nell’opera. L’intero brano è un gioco infinito di contrasti che sembrano definire il preciso intento del discorso musicale di liberarsi dalle costrizioni di un schema rigido, al fine di raggiungere la massima libertà espressiva. Al primo movimento segue una marcia maestosa che presenta una sezione centrale dal carattere più lirico ed una conclusione arricchita da una coda molto impegnativa. Un Finale conclusivo permeato da sonorità più lievi, si pone come sintesi ideale tra il vecchio modello ed il nuovo conducendo il brano alla sua nobile conclusione.
Alexis Weissenberg (Sofia 1929 – Lugano 2012)
Sei trascrizioni di Canzoni cantate da Charles Trenet
Verso la fine degli anni cinquanta apparve un misterioso quarantacinque giri per l’etichetta discografica Lumen, intitolato “Il signor Nessuno suona Trenet”. Il contenuto consisteva in una bizzarra ed inusuale sequenza di sei canzoni del cantautore francese Charles Trenet, eseguita al pianoforte. Fu solamente diversi anni più tardi che si seppe che l’autore di quelle trascrizioni era il celeberrimo pianista e compositore Alexis Weissemberg. Le motivazioni che spinsero il musicista a mantenere l’anonimato non risultano ancora chiare; sembrerebbe infatti che all’epoca, trascrizioni di quel tipo ad opera di un serio pianista classico non fossero ben viste mentre altri sostengono che lo stesso Weissemberg non fosse pienamente soddisfatto del risultato. Nonostante queste premesse il brano ha ottenuto un successo sempre maggiore grazie ad uno stile sofisticato, ricco di momenti lirici e spunti di stampo jazzistico, permeati da un senso di humor elegante e senza tempo.
Gabriel Faurè (Pamiers 1845 – Parigi 1924)
Notturno n. 6 in re bemolle maggiore per pianoforte, Op. 63
La centralità dell’idea musicale assume, nella produzione di Gabriel Faurè, un’importanza fondamentale. Il compositore francese infatti tralasciò ardite sperimentazioni orchestrali in favore di una profonda ricerca incentrata su melodia ed armonia. Tale tendenza appare in maniera evidente nel notturno per pianoforte in re bemolle maggiore op. 63. Il Notturnopresenta un carattere fine e ricercato, sin dal principio dell’Adagio introduttivo, dove da un velo di terzine si sviluppa un’idea di grande eleganza, che fungerà da legante tematico per i vari elementi del brano. Al carattere iniziale più disteso si contrappone un allegro molto moderato dal movimento marcatamente sincopato, al cui interno troviamo spunti di grande intensità, e che sfocia infine nella riproposizione della melodia introduttiva. L’allegro moderato centrale ravviva la tavolozza cromatica del brano attraverso una serie di arabeschi di semicrome, inframmezzati dall’alternanza di sezioni transitorie più posate contrapposte ad episodi incisivi ed inaspettati. Nella sezione finale avviene il ritorno dell’idea tematica principale attraverso una sintesi magistrale della componente tematica con quella armonica dell’accompagnamento, donando al brano una raffinata conclusione.
Fryderyk Chopin (Varsavia 1810 – Parigi 1849)
“Polanaise-fantasie” in la bemolle magg. per pianoforte, Op. 61
Nel corso della storia l’inquadramento, all’interno dei canoni di un genere specifico, dell’op. 61 ha sempre costituito un problema. Già dal titolo, “Polonaise-fantasie”, appare evidente che non ci si trovi di fronte ad una polacca come quelle delle op. 26 o dell’op. 53, bensì ad una composizione dal carattere sperimentale e di più ampio respiro. Lo stesso Chopin in una lettera alla famiglia risalente al 1845, accennò al desiderio di comporre qualcosa che non sapeva bene come intitolare, gettando senza saperlo, le basi per una serie infinita di dibattiti esegetici che avrebbero appassionato critici e musicologi fino ai giorni nostri. Già a partire dall’introduzione, malinconica e recitativa, l’opera si permea di una sorta di mistero strutturale, gettando l’ascoltatore in un clima dubbioso carico di aspettative. Quello che ha in serbo il discorso musicale sembra infatti possedere al contempo una sorta di imprevedibilità espressiva ed una consequenzialità logica. Ogni episodio introduce un elemento di novità concatenandosi con il precedente in maniera assolutamente naturale ed intuitiva, quasi si trattasse di un passaggio invitabile. L’intera opera sembra essere ammantata di un sentimento nostalgico contrastato e al contempo enfatizzato da episodi più eroici in grado di donare al brano una dialettica trascinante, che lo conduce alla sua affermativa conclusione.
Scherzo n. 4 in mi maggiore, Op. 54
Nella serie di Scherzi composti da Chopin l’op. 54 risulta essere quello meno eseguita. Il carattere del brano, composto nel 1842 e dedicato all’allieva Clotilde de Caramann, si discosta molto da quelli dei componimenti precedenti, privilegiando una brillantezza ed una trasparenza timbrica incredibili rispetto a sentimenti di sofferenza ed eroismo. Risulta evidente sin dall’inizio quanto la ricerca dell’autore fosse incentrata sul suono anziché sulla forma. Le possibilità della tastiera vengono esplorate in tutte le loro sfumature alternando rapidi ed argentei arpeggi a sezioni più meditative, per arrivare ad una sezione finale dove si posso quasi scorgere elementi riscontrabili nelle future musiche di Debussy.
Jacopo Toso