WOLFGANG AMADEUS MOZART
CONCERTO PER VIOLINO E ORCHESTRA IN SI BEMOLLE MAGGIORE, K 207
Nel 1773, al rientro dal suo ultimo viaggio in Italia, Mozart trovò una sistemazione presso la Corte dell'arcivescovo Colloredo a Salisburgo. Tuttavia la scarsa attenzione dimostrata dell’arcivescovo nei confronti della musica e dei musicisti, trattati al pari della servitù, costituì un concreto ostacolo per le sue possibilità creative, tanto da spingerlo alla ricerca di una sistemazione alternativa. Tale rottura si consumò definitivamente nel 1781 quando durante un'accesa discussione riguardante le dimissioni presentate da Mozart all'arcivescovo, il camerlengo cacciò dal palazzo il compositore con una pedata nel fondoschiena; episodio citato dallo stesso Mozart in una lettera al padre datata 9 giugno 1781, nella quale, visibilmente risentito, non fece riserbo di critiche sprezzanti per il trattamento subito. Ciò nonostante, il periodo salisburghese non fu privo di risultati. Il compositore si cimentò in vari generi quali sinfonie, sonate, quartetti d'archi e naturalmente concerti, focalizzandosi in particolare su quelli per violino e orchestra, tant'è che tra l’aprile del 1775 ed il dicembre di quell'anno ne compose cinque. Secondo il catalogo Köchel, il concerto in Si bemolle maggiore sarebbe il primo della serie e risalirebbe all’aprile del 1775. Tuttavia recenti studi suggeriscono che l'opera abbia visto la luce già nel 1773. Il concerto presenta una scrittura dinamica, ricca di idee melodiche, in linea con lo stile dell'autore. Il primo tempo è un Allegro moderato che si apre con una spumeggiante introduzione orchestrale volta all'esposizione dei vari materiali tematici. È proprio il primo tema ad essere ripreso dal violino solista che lo rielabora sviluppando una serie di variazioni ed arabeschi sonori, momentaneamente interrotti da un breve episodio più drammatico, per poi fare spazio a modulazioni e riprese del materiale tematico giungendo infine alla cadenza conclusiva del movimento. Segue l'Adagio caratterizzato da un clima sereno dato dall’estrema limpidezza ed intimità della linea melodica. Anche in questo movimento l'introduzione orchestrale prepara l'ingresso del solista, il quale propone un'idea nuova dal carattere delicato che svilupperà nel corso del movimento. Un momento malinconico appare nella sezione centrale ma si risolve spontaneamente nella dolcezza della melodia che giunge infine al consueto crescendo preparativo della cadenza cui segue una breve coda. Il Presto conclusivo si presenta con un carattere vivace e brioso. Il ritmo scattante dà brillantezza al dialogo musicale tra le parti e la voce del violino, impegnato in estrose evoluzioni, donando al concerto una piacevole conclusione.
WOLFGANG AMADEUS MOZART – MARIUS CASADESUS
“ADÉLAÏDE” IN RE MAGGIORE K ANH C 14.05(già K ANH 294)
Il 16 Agosto 1977 usciva sulle pagine del New York Times un interessante articolo intitolato “Marius Casadesus citato in giudizio da Mozart per il concerto”. L'evocativo titolo si riferiva ad una causa in corso dove l'oggetto del contendere erano i diritti relativi al concerto per violino e orchestra “Adélaïde” apparentemente scritto da Wolfgang Amadeus Mozart alla tenera età di dieci anni a Parigi e poi andato perduto fino alla sua riscoperta e riedizione nel 1933 ad opera del violinista francese Marius Casadesus, famoso per aver eseguito la prima della “Tzigane” di Ravel alla presenza del compositore, che ne aveva curato l'orchestrazione. Sebbene all'occhio di un esperto come Alfred Einstein il concerto presentasse criticità tali da farlo dubitare della sua originalità, in molti si dissero certi dell'autenticità del brano tanto che in seguito il concerto venne inciso da Yehudi Menuhin. Non ricevendo alcun riconoscimento per questa produzione, Casadesus citò in giudizio la casa discografica chiedendo un oneroso risarcimento ed arrivando infine ad ammettere che non solo l'orchestrazione bensì l'intera opera fosse una sua creazione risalente al 1933, confermandone di fatto la non originalità sospettata da Einstein. Il concerto venne in seguito eliminato dai cataloghi relativi alle produzioni mozartiane. Il brano si apre con un Allegro dove viene lasciato un ampio spazio all'orchestra che introduce le varie idee tematiche, con slancio e forza e in un secondo momento in maniera più delicata. Questo contrasto di colori crea una dinamica a terrazze, presente in tutto il movimento, molto evidente al momento dell'ingresso del violino che, ad un episodio affermativo dell'orchestra, risponde con una nuova idea dal carattere elegante. La scrittura è molto ricca sia nella parte solistica che in quella orchestrale creando vitalità e contrasti i quali, eccezion fatta per una piccola sezione dal carattere più drammatico, conducono il discorso verso la cadenza conclusiva del movimento. Nell’Adagio centrale l'orchestra espone nell'introduzione idee tematiche dal carattere delicato e sognante, riprese in seguito dal violino solista, che le impreziosisce con piccole variazioni ed abbellimenti nel corso di tutto il movimento. L’Allegro finale presenta una struttura brillante che propone continue serie di terzine, talvolta interrotte da episodi più calmi volti a creare una serie di contrasti che portano alla cadenza finale e alla conclusione del concerto.
ANTONÍN DVOŘÁK
SERENATA PER ARCHI IN MI MAGGIORE, OP. 22
Il 1875 fu per Antonín Dvořák un periodo felice. Oltre alla nascita del primo figlio, l'ottenimento di una borsa di studio statale e l'interesse dimostrato nei suoi confronti da Johannes Brahms e dal critico Eduard Hanslick , aprirono a Dvorak le porte dei più importanti circoli musicali europei. Scritta in questo clima favorevole, la Serenata per archi op. 22, ripartita in cinque movimenti, fu da subito apprezzata sia per l'inventiva che per l’eleganza della propria struttura. Il Moderato iniziale si apre con un tema lirico esposto dai primi violini e ripreso subito dopo dai violoncelli; intreccio che si ripete per tutto il movimento. La cantabilità della prima parte viene interrotta da una sezione centrale più ritmica dove si inserisce una linea espressiva dei violoncelli che prelude alla ripresa dell'idea principale ripresentata con maggiore slancio e corpo sonoro. Il secondo movimento, Tempo di Valse, presenta inizialmente un carattere leggero che diviene più scorrevole nella seconda parte cui segue un breve episodio più ritmico. Alla ripresa segue un trio malinconico, a tratti drammatico che infine conduce nuovamente al tema iniziale. Lo Scherzo – Vivace si presenta con un carattere di danza in tempo binario in cui il gioco contrappuntistico di rincorsa ed imitazione tra le varie parti, nel primo tema, dona una frizzante brillantezza al movimento. Il secondo ed il terzo tema presentano un carattere più pacato ma basta giungere alla ripresa per ritrovare la briosità iniziale che conclude il movimento. All'interno della serenata Il Larghetto presenta un momento di assoluto lirismo e slancio poetico dove l'autore sfrutta al meglio tutte le possibilità espressive degli archi. La sezione centrale, più articolata ritmicamente, non toglie lirismo ma al contrario dà ulteriore slancio alla melodia che torna verso una ripresa conclusiva. Il Finale: Allegro vivace presenta un carattere agile e ben scandito ritmicamente dove più idee tematiche si intersecano tra di loro creando una tensione che viene dissipata solamente al ritorno del Moderato iniziale del primo movimento. Questa rimembranza melodica genera un senso di quiete che sfocia infine nella coda del Presto finale, portando a conclusione il brano.
Jacopo Toso