GUIDA ALL'ASCOLTO CONCERTO N° 1482 | ANGELA HEWITT

Teatro Verdi Trieste, Riva 3 Novembre 1, Trieste
Lunedì 21 marzo 2022, ore 20:30

Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo 1756 - Vienna 1791)
Sonata n. 12 in Fa maggiore, “Parigina 4”, K 332 (fine 1780-inizio 1781)
I. Allegro
II. Adagio
II. Allegro assai

Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
dal Clavicembalo ben temperato, Libro II, BWV 870-893 (1738-1742)
n. 13, in Fa diesis maggiore, BWV 882
n. 14, in fa diesis minore, BWV 883
n. 15, in Sol maggiore, BWV 884
n. 16, in sol minore, BWV 885

Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo 1756 - Vienna 1791)
Sonata n. 13 in Si bemolle maggiore, “Parigina 5”, K 333 (agosto-settembre 1778)
I. Allegro
II. Andante cantabile
II. Allegretto grazioso

Maurice Ravel (Ciboure 1875 - Parigi 1937)
Sonatine (1903-05)
I. Modéré (doux et expressif)
II. Mouvement de menuet
II. Animé

Alexis Emmanuel Chabrier (Ambert 1841 - Parigi 1894)
Bourrée fantasque (1891)

NOTE DI SALA

Questo è un concerto che è più d’una esibizione di precisione, più di uno sfoggio di mera tecnica. Questo è un concerto che con sé porta soltanto quel che si suona con amore: bellezza, nitore, chiarezza d’ogni singola voce che le mani riescono a trarre dalla tastiera. Magia questa che Angela Hewitt riesce ad evocare soprattutto in Bach. Nel suo Bach. E non è un caso che scelga quattro brani dal II Libro dei Preludi e Fughe, analoghi nell'impianto a quelli del primo – completato a Köthen nel 1722 (mentre il secondo venne compilato tra il 1738 e il 1742 a Lipsia) – ma assai diversi come resa d’insieme. D’altronde, soltanto il I libro apparve con il titolo di Clavicembalo ben temperato, mentre il II portava il titolo di Ventiquattro nuovi preludi e fughe, sicché, nonostante l'impianto di entrambe le raccolte risultasse all'apparenza analogo, il titolo indirizzerebbe ad una lettura più attenta dei contenuti. La principale delle differenze rilevabili va ascritta alla maggior ampiezza dei Preludi che nel II Libro utilizzano (in 10 casi) la forma bipartita, con una seconda parte più ampia, specchio incontestabile d’una attenta consuetudine con le forme di danza. Anche le Fughe di questo libro, però, oltre ad una limitata adozione dello stile arcaico (due soli casi, in questo volume) e all'assenza di schemi a cinque voci, rivelano l’evidente influsso di ritmi di danza (in questo concerto, per esempio, le nn. 13 e 15). Questi elementi lasciano intuire il fatto che Bach attenui di molto, nel II Libro, l’aspetto didattico delle sue creazioni: mentre a Köthen prevaleva la necessità etica di curare la graduale preparazione professionale dei suoi primi figli (11 Preludi del I libro erano comparsi, anche se in forma meno elaborata, nel Klavierbüchlein scritto per il figlio Wilhelm Friedemann), a Lipsia gli strumenti a tastiera, cembalo ed organo, sono latori d’un preciso messaggio che trova, nelle invenzioni e deduzioni creative, quella cifra stilistica tipica dell’ultimo Bach che, risalendo dalle collaudate esperienze della suite e del concerto, conquistano gli spazi profondi della speculazione e dell’ars combinatoria, da un lato, e della ricerca tematica sempre più raffinata dall’altro.

Eseguire al pianoforte queste pagine equivale a dar loro una veste sonora che può anche permettersi il lusso di indugiare in pieghe emozionali che quasi sicuramente Bach non prendeva in primaria considerazione ma che, essendo presenti nel testo, sarebbe un peccato tralasciare, favorendo una lettura esclusivamente “meccanica” degli eventi sonori. In questo l’interpretazione di Angela Hewitt rivela tutte le potenzialità espressive consentite da queste pagine, come, per esempio, “di una nobile e robusta cordialità” (così giudicava Alfredo Casella il Preludio n.13) o di umana e dolente comunicativa (n.14) o ancora di austera e grandiosa bellezza, quando le sonorità dal sapore organistico della n.16 indugiano su un ritmo che aspira ad essere solenne e maestoso. Le Fughe sono tutte a 3 voci (tranne la n.16 che è a 4) ed hanno temi che le caratterizzano in maniera decisa, con toni gaiamente popolari (n.13), danzanti e giocosi (n.15) fino al culmine della n.16, dal tema duro e severo cui fa da contrasto un controsoggetto fluido e patetico in un contrasto che dal Barocco trae imponenza e vigore.

Alla luce d’una coerenza interpretativa che rende unitaria la struttura del programma, non è casuale la scelta delle Sonate di Mozart che aprono le due parti del concerto dato che queste sono frutto d’una mutazione stilistica importante nella vita del ventiquattrenne Mozart che, dopo il soggiorno parigino del 1778 e la morte della madre (avvenuta a Parigi il 3 luglio di quell’anno) elaborò uno stile che, nel passaggio dal clavicembalo al pianoforte, intensificava qualità espressiva, cantabilità, variazioni dinamiche; il tutto per potersi affrancare dai committenti aristocratici e padroni d’uno stile compositivo che veniva pagato e che Mozart, per dignità, non poteva tollerare (va detto che, com’era ovvio in quel momento e in quelle condizioni storico sociali, Mozart perse questa battaglia). Benché alcune pagine mozartiane per pianoforte solo sono nate proprio come omaggio ad augusti protettori o con finalità didattiche, rimanendo in sintonia con le aspettative e i gusti del pubblico di possibili acquirenti in vista della pubblicazione, queste due Sonate si avvicinano ai livelli d’intensità emozionale dei Concerti viennesi. La Sonata n. 12 in Fa maggiore, K 332 è stata a lungo attribuita al soggiorno parigino del 1778, mentre sembra ormai certa la sua datazione al periodo trascorso a Monaco tra la fine del 1780 e l'inizio del 1781 per la prima rappresentazione di Idomeneo o addirittura ai primi anni viennesi (1781-1783). Già dal primo movimento il gioco essenziale dei materiali tematici espositivi lascia rapidamente posto a densità espressive e drammatiche, presenti soprattutto nei passaggi modulanti da una tonalità all’altra, segnate da una straripante ricchezza di materia musicale che nemmeno la galante cantabilità dell’Adagio – con un accompagnamento in caratteristico basso albertino – riesce a cancellare. Il terzo movimento, guizzante e lieve, velato da momenti di intensa malinconia o di più energica drammaticità, porta questo lavoro ad una conclusione quasi sussurrata, che sfuma con dolcezza nel silenzio.

Al soggiorno parigino appartiene invece verosimilmente la Sonata n. 13 in Si bemolle maggiore, K 333, dal tono pacato, quasi malinconico, a tratti. Tecnicamente assai più complessa della precedente, gioca con i risvolti affettuosi di lontani ricordi: il primo tema del primo movimento è simile al tema d'inizio della Sonata op. 17 n. 4 di Johann Christian Bach. E siccome Bach, scomparso proprio nel 1782, aveva affettuosamente accolto Mozart bambino a Londra e gli aveva anche impartito qualche lezione di composizione, questo movimento sembra essere un delicato omaggio alla memoria di un musicista che nella sua formazione aveva svolto un ruolo importante. Partendo da Johann Christian, Mozart sviluppa però un'architettura articolatissima e complessa che prosegue anche nel secondo movimento, in forma bitematica e tripartita, con uno “sviluppo” centrale visibilmente cromatico. Il grande Rondò finale, in sette episodi e con un’inaspettata “cadenza in tempo” che trasferisce nella Sonata un elemento tipico del Concerto, di fatto anticipa i germi della futura musica per pianoforte del compositore di Salisburgo, quella che configurerà la sua più alta produzione.

I due lavori francesi che suggellano il programma sono due piccoli, accattivanti gioielli. La Sonatine di Ravel è l’espressione della volontà del trentenne compositore di tornare all’eleganza ed alla chiarezza strutturale del tardo XVIII secolo, alla carezzevole levigatezza della musica per clavicembalo: composta per un concorso indetto da una rivista musicale, divenne subito un successo anche grazie al fascino che emana dalle sue pagine. Il primo movimento, in rigida forma-sonata, ha la trasparenza d’un ordito apparentemente semplice: la quarta discendente iniziale, che si ritrova poi come elemento strutturale in tutto il prosieguo della composizione, e l’accompagnamento del secondo tema per quinte parallele nei bassi con una decima superiore alla melodia lasciano già intuire il grado di complessità creativa utilizzato. Anche il minuetto, ricco di abbellimenti e inflessioni modali, riprende ad un certo punto il motto iniziale sull’intervallo di quarta quasi a confermare il prezioso meccanismo ad orologeria che Ravel mette in gioco. Il moto perpetuo che chiude i dieci minuti della Sonatine articola nuovamente le figure di quarta in un flusso ad alta energia coloristica portando con brillantezza il componimento a conclusione.   

La Bourrée fantasque di Chabrier (della durata di circa sei minuti e mezzo) è l’ultimo lavoro scritto, nel 1891, dal compositore nato nel piccolo comune della regione dell'Alvernia-Rodano-Alpi ed è considerato giustamente come uno dei suoi migliori. La bourrée è la danza tradizionale dell’Alvernia (Auvergne) è l’aggettivo fantasque viene qui utilizzato allegoricamente per “fantasiosa”, “fantasmagorica”. Pare ci sia una forte connessione fra questo lavoro e gli affreschi della Danza Macabra dell’abbazia di Chaise-Dieu, nell’Alta Loira (prossima al luogo natale di Chabrier), un gioiello, datato al 1470, che si svolge per 26 metri di lunghezza sulla parete esterna del coro. Dedicatario fu un pianista diciottenne, Édouard Risler, dotato d’una tecnica particolarmente virtuosistica che viene esibita sin dalla prima pagina, articolata su una serie di motivi ribattuti che evocano lo zapateado andaluso e che sono inframmezzati da timide frasi ascendenti eseguite in staccato. Il tono percussivo, tipico di Chabrier, dà un carattere particolarmente moderno a questo inizio e funge da contrasto col tono lirico evocato nella seconda che si ritrova percorsa inaspettatamente da folate episodiche violente e feroci che spingono l’articolazione a tornare sul zapateado iniziale. Il pezzo si chiude in maniera vertiginosa e realmente fantasmagorica in un’esibizione coloristica e vivacissima di sonorità contrastanti ed accese.

Pierpaolo Zurlo

Curiosando

1685

Nell’anno di nascita di Bach, a Londra viene introdotta – il 29 settembre – la prima illuminazione pubblica: Edward Hemming sigla un contratto che lo obbliga, dietro pagamento, ad accendere una lampada ad olio “ogni decima casa sulle strade principali tra le 6 di sera e mezzanotte dal 29 settembre al 25 marzo”, in tutte le notti autunnali ed invernali “prive di adeguata illuminazione lunare”.

1841

Nell’anno in cui nasce, a gennaio, Emmanuel Chabrier, l’8 settembre nasce in Boemia Antonín Dvořák la cui musica sarà profondamente intrisa di ritmi e contorni melodici della sua terra, seguendo in ciò l’ideale nazionalista-romantico perseguito dal suo predecessore Bedřich Smetana. Quello di Dvořák è uno stile descritto come “un idioma nazionale profondamente ricreato che in sé assorbe influenze popolari utilizzate nel modo più nobile ed efficace possibile”.