Luigi Boccherini (Lucca 1743 - Madrid 1805)
Duo per due violini in sol maggiore op. 3 n. 1 G 56
Grazioso - Allegro - Presto
GUIDA ALL'ASCOLTO CONCERTO N° 1473 | FABIO BIONDI & COMPONENTI EUROPA GALANTE
Luigi Boccherini (Lucca 1743 - Madrid 1805)
Trio per violino, viola e violoncello in re maggiore op. 14 n. 4 G 98
Allegro Giusto - Andantino - Allegro Assai
Luigi Boccherini (Lucca 1743 - Madrid 1805)
Quartetto per archi n. 56 in do minore G214
Prestissimo-Tempo di minuetto - Andante flebile - Prestissimo
Luigi Boccherini (Lucca 1743 - Madrid 1805)
Trio per due violini e violoncello in do maggiore op. 6 n. 6 G 94
Allegro Assai - Larghetto - Presto
Luigi Boccherini (Lucca 1743 - Madrid 1805)
Quintetto per archi e chitarra in re maggiore “Fandango” G 448
Pastorale - Allegro maestoso - Grave assai - Fandango
Luigi Boccherini (Lucca 1743 - Madrid 1805)
Dodici Variazioni su “La Ritirata di Madrid” in do maggiore per quintetto
per archi e chitarra
NOTE DI SALA
Ridolfo Luigi Boccherini, questo il suo nome completo: uno dei compositori più prolifici della storia e uno dei più trascurati a livello concertistico. L’ultimo dei grandi musicisti italiani a trasformare, fra XVII e XVIII secolo, la struttura delle forme classiche della musica strumentale europea. Educato all'arte, oltre che nella sua città natale, anche a Roma, seguendo la scuola di Corelli e di Tartini, si stabilì a Parigi per poi trasferirsi a Madrid, nel 1768, come «compositore e virtuoso da camera» dell'Infante Luigi Antonio di Borbone-Spagna (fratello di Carlo III), il quale, avendo sposato una ragazza “comune”, era stato esiliato dalla Corte madrilena al palazzo di Arenas de San Pedro, nella provincia di Ávila. Luigi Boccherini, essendo suo cortigiano, lo aveva seguito, entrando di fatto in un lungo esilio. Forse il suo oblio va imputato proprio a questo isolamento in terra spagnola anche se la storiografia è stata in grado di individuare in alcuni compositori coevi le matrici del suo linguaggio (Sammartini, Gossec e Schobert fra gli altri), dando così testimonianza d’un suo essere conosciuto e riconosciuto ben oltre i confini geografici iberici.
Nel 1784, alla morte dell’Infante Luigi, si ritrovò disoccupato, senza moglie (morta quello stesso anno) e con cinque figli da sfamare. Trovò un nuovo lavoro a Madrid diventando maestro da camera della duchessa di Benavente-Osuna, nel cui palazzo rappresentò, nel 1786, l'unica sua opera teatrale, la zarzuela La Clementina. Inviò molte delle sue composizioni, principalmente quartetti, al re Federico Guglielmo II di Prussia, dilettante di violoncello e suo nuovo protettore, nel tentativo di liberarsi dalla morsa dell’esilio spagnolo. Gli «omaggi» durarono più di dieci anni ma alla morte del re, nel 1797, i tentativi di ottenere aiuti da Federico Guglielmo III, suo successore, fallirono. Spazzata via la monarchia spagnola dalle truppe francesi, dopo la partenza di Bonaparte Boccherini non trovò più un'occupazione stabile: si sostenne a malapena con una pensione del re di Spagna e con i proventi assai irregolari che gli mandava Ignace Pleyel, il suo editore. Trascorse gli ultimi anni nella miseria più nera, colpito anche da una grave malattia circolatoria e afflitto dalla perdita di tre figlie e della seconda moglie. Morì il 28 maggio 1805, già dimenticato (il primo musicologo a interessarsene fu Louis Picquot, che pubblicò nel 1851 a Parigi una monografia, ristampata soltanto nel 1930).
Eppure, dando una veloce scorsa al suo catalogo, i numeri impressionano: 2 Ottetti, 16 Sestetti, 125 Quintetti per archi, 12 Quintetti con pianoforte, 18 Quintetti per archi e flauto (o oboe), 102 Quartetti, 60 Trii per archi, 39 tra Sonate e Duetti, 4 Concerti per violoncello, 20 Sinfonie, la zarzuela La Clementina e altra musica profana e religiosa. A lui si devono la forma del Quartetto modernamente intesa. E anche quella del Quintetto poiché, col decadere del basso continuo, l’importanza della viola e del violoncello erano molto aumentate. Boccherini realizzò quattro – e poi cinque – parti reali, sviluppando la tematica affidata loro e vivificando la polifonia, raggiungendo una snellezza ed una vivacità che nessuno, né in Italia né in Germania, aveva ancora conseguito. Il discorso musicale fu per lui qualcosa di più d’una mera questione tecnica: lo considerò un vero e proprio «ragionamento» tra le parti, una dialogica musicale che condizionò, ovviamente, la stessa ritmica che assunse, nelle sue composizioni, un ruolo peculiare.
A tutto ciò va aggiunta la grande accuratezza di scrittura che prevedeva, già dal 1766, l’utilizzo di espressioni come crescendo, forte, maestoso, soave, dolcissimo, tenuto e via di questo passo.
Questo programma è costruito in forma progressivamente ampliata, partendo da un duo ed aumentando progressivamente di numero gli esecutori fino al quintetto. Anzi, fino ad una delle sue pagine più celebri (assieme al Minuetto del Quintetto n.5 in mi maggiore, dall’op.11, G275). Ci si può così fare un’idea ben più che circostanziata della sua arte compositiva, a partire dal Duo composto nel 1761 a Lucca dopo i soggiorni a Roma e a Vienna: una pagina dalla tecnica strumentale complessa che aiuta a comprendere la dinamica strutturale che informa il successivo Trio dall’op. 14, che fa parte di un gruppo di sei Trii definiti dallo stesso autore come “opera grande” ossia una composizione di ampie dimensioni, in quattro movimenti. Questa pagina vide la luce durante il primo soggiorno del compositore a Madrid (1768-76), forse uno dei periodi più fecondi della sua produzione, dato che annovera sei sinfonie (op. 12) e trenta quintetti (op. 10, 11, 13, 18 e 20): la scrittura è in stile “concertante”, con gli strumenti che dialogano senza prevaricazioni giocando molto sul ritmo, con varie sincopi (spostamenti di accenti dal tempo forte a quello debole) che danno una particolare energia nervosa alla melodia (effetto questo dovuto quasi sicuramente all’influenza della musica spagnola).
Il Quartetto programmato – il cinquantaseiesimo – rientra nel novero dei lavori che permettono di definire quelli che andrebbero considerati come i principali portati stilistici dell'arte di Boccherini: differenziazione ed autonomia dei singoli strumenti, impegnati in un alterno gioco dialogico, spiccata tematizzazione delle idee musicali, non solo concatenate e contrapposte ma anche «sviluppate» a configurarsi come motivi, ad assumere l'ufficio di cellule germinative del tessuto sonoro. E, a coronamento del tutto, il primo violino che spesso assume su di sé la maggior responsabilità ed il maggior peso della trama sonora, impegnandosi in frequenti uscite virtuosistiche che conferiscono a molti passi un carattere quasi concertante.
E poi i Quintetti: tra il 1798 e il 1799 il compositore riordina, in due raccolte, dodici quintetti, originariamente composti per organici diversi, affidandoli a una formazione strumentale che integra, oltre al quartetto d'archi classico, la chitarra, in omaggio al committente e dedicatario delle due raccolte, il marchese di Benavente. Eccellente chitarrista dilettante e ammiratore di Boccherini, il mecenate madrileno ospita un'orchestra stabile nel suo palazzo, frequentato da intellettuali, musicisti e pittori (fra i quali spicca il nome di Goya, amico intimo di Boccherini); proprio all'italiano, il marchese aveva affidato l'incarico di direttore della musica.
L'impiego della chitarra trova giustificazione nell'interesse che il lucchese nutriva per il folclore spagnolo tanto che spesso danze popolari e scene di vita madrilena concorrono ad arricchire le sue pagine. Sono partiture d’un’originalità assoluta, sovrabbondanti dal punto di vista melodico e con un ordito armonico dai piani tonali spesso imprevedibili. L’ultima pagina del programma è poi una delle più conosciute: la «Ritirata di Madrid» (cioè il segnale di coprifuoco che risuonava nottetempo per le strade della capitale). Boccherini precisa che «la seguente ritirata deve suonarsi come fosse lontanissima, e perciò appena dovrà sentirsi, poi si aumenterà conforme s'anderà, advertendo il piano e il forte». Dalla Prima Variazione alla Settima la musica si avvicina progressivamente finché, nell’Ottava, si chiede agli archi di suonare «imitando il tamburo»; dalla Nona alla Dodicesima si allontana progressivamente, arrivando ad un «pianissimo... che appena si sente». La composizione era già famosa in Spagna con Boccherini ancora vivente ma venne pubblicato soltanto dopo la morte del compositore perché, secondo il suo editore, Pleyel, «la composizione fuori dalla Spagna sarebbe risultata inutile, pure ridicola, poiché il pubblico non avrebbe potuto capirne il significato e i musicisti non sarebbero riusciti a suonarlo nello stesso modo». Oggi la conosciamo meglio anche perché viene spesso eseguita nella scherzosa trascrizione di Luciano Berio che ne sovrappone contemporaneamente le quattro parti, in modo sincrono e asincrono. Boccherini avrebbe sicuramente gioito di questa vitalità prorogata ben oltre il suo tempo. Di questa vitalità che gli restituisce quel peso compositivo di cui il presente programma è ampia testimonianza. Dovuta testimonianza.
Pierpaolo Zurlo
1743
A marzo nasce a Lipsia la Gewandhausorchester. Denominata inizialmente come «Società dei concerti», viene fondata da sedici ricchi mercanti della città sassone. Nel 1781 l'orchestra si trasferisce nella nuova grande sala da cinquecento posti appositamente costruita che prende il nome dal luogo ove prima sorgeva un grande mercato pubblico di abiti (Gewandhaus, ossia «casa dei panni»), nome che poi viene esteso all'orchestra stessa.
1805
Il 7 Aprile Beethoven presenta per la prima volta al pubblico, nel Theater an der Wien, la sua Terza Sinfonia. Composta fra il 1802 ed il 1804 era inizialmente dedicata a Napoleone Bonaparte ma la dedica verrà cancellata e l’intero lavoro verrà indirizzato al Principe Joseph Franz Maximilian Lobkowitz, un aristocratico appassionato di musica che ospiterà Beethoven più volte nelle sue abitazioni.