Felix Mendelssohn-Bartholdy (Amburgo 1809 – Lipsia 1847)
Quartetto per archi n. 6, in fa minore, op. 80 (settembre 1847)
I. Allegro vivace assai
II. Allegro assai
III. Adagio
IV. Finale. Allegro molto
GUIDA ALL'ASCOLTO CONCERTO N° 1467 QUARTETTO STRADIVARI
Franz Schubert (Vienna 1797 – Vienna 1828)
Quartetto per archi n. 14, in re minore, «Der Tod und das Mädchen», D810 (marzo 1824)
I. Allegro
II. Andante con moto
III. Scherzo. Allegro molto IV. Presto
NOTE DI SALA
Nonostante la sua precocità creativa, che tra il 1820 ed il 1825 gli fa rubricare nel suo catalogo un trio con pianoforte, quartetti con pianoforte, sonate ed un ottetto, è solo nel 1827 che Mendelssohn si decide ad affrontare la scrittura quartettistica con quello che in seguito verrà stampato come Quartetto per archi n. 2 (il suo primo tentativo è del 1823, rimasto non pubblicato, mentre il Quartetto per archi n. 1, pubblicato come tale nel 1830, è quello in Mi bemolle maggiore, op.12).
Il Quartetto per archi n. 6 è l’ultimo dei lavori per questo organico composto da Mendelssohn, nel settembre 1847, quando, già provato dalla malattia che l’avrebbe portato alla morte, era ancor più provato dalla scomparsa della sorella Fanny venuta a mancare quattro mesi prima, a maggio. È in queste circostanze, mentre cercava sollievo nelle cure che gli venivano somministrate in Svizzera, che dà sfogo al suo dolore che il vincolo spirituale ed emotivo fortissimo avuto con la sorella non poteva che amplificare oltre ogni misura. Un dolore che non viene mai allentato o nascosto nel corso dello svolgersi dei quattro movimenti, tutti rigorosamente nell’inquieta tonalità di fa minore che si manifesta sin dall'iniziale Allegro vivace con dei tremoli concitati che si espandono in un primo tema irrequieto e tormentato, a cui ne segue uno più disteso e pacato: le due idee si alternano nello sviluppo, alla ricerca di un equilibrio tra un pianto disperato ed una momentanea accettazione del dolore che la drammatica stretta conclusiva nega recisamente sulle note più acute del primo violino, con un urlo straziante di rabbia.
Il secondo movimento (Allegro assai) è uno Scherzo pervaso da un senso di affanno, altamente sincopato, irrequieto. L’atmosfera cupa di questa pagina s’intensifica ancor più nel Trio, diventando minacciosa ed aprendosi all’isola malinconica ed elegiaca dell'Adagio, il cui canto struggente passa costantemente fra le quattro voci, fino ad un comune e rassegnato sospiro finale. Nell’Allegro molto che chiude gli scarsi trenta minuti di questo lavoro, ritroviamo i tremoli, le sincopi e gli improvvisi mutamenti di dinamica già protagonisti delle parti precedenti che altro non fanno che confermare il tormento d’un'anima prostrata e incapace di reagire di fronte alla morte, incomprensibile ed ingiustificata. Quella stessa morte che, a due mesi di distanza, a novembre del 1847 avrebbe portato anche il giovane Felix con sé.
Anche il Quartetto per archi n. 14, in re minore, di Schubert appartiene all'ultimo periodo della sua esistenza, nel quale il pensiero della morte lo pervade in modo rassegnato, dominando di fatto le sue opere più significative. Dalle ampie proporzioni, questo lavoro, pur essendo assai lontano dallo spirito dei classici, si caratterizza per una solida unità strutturale dovuta tanto alla coerenza della materia lirica quanto alla qualità dell'elaborazione formale. Non per nulla Dahms lo giudica come il più diretto anello di congiunzione fra Beethoven e Brahms.
«In fatto di Lieder non ho scritto gran che di nuovo, ma in compenso mi sono esercitato in numerosi lavori strumentali: ho scritto due quartetti [...] e un ottetto, e ho in mente di scrivere un altro quartetto». Con queste parole, inviate a Leopold Kupelwieser il 31 marzo del 1824, Franz Schubert esprimeva l'intenzione di completare un ciclo quartettistico appena iniziato; tre quartetti - in la minore D.804, in re minore D.810, in sol maggiore D.887; quest'ultimo posteriore di un paio di anni – che sarebbero poi stati gli ultimi da lui composti. Il primo giunse alla pubblicazione nell'autunno dello stesso 1824 come op.29 n. 1, mentre il Quartetto in re minore (col sottotitolo «La Morte e la fanciulla») venne pubblicato postumo nel 1831. L'ultimo della serie dovette aspettare il 1850 per essere dato alle stampe come op.161.
Il sottotitolo deriva da uno dei più celebri Lieder schubertiani, composto nel 1817 su testo di Matthias Claudius, il cui tema viene utilizzato come elemento portante del secondo movimento. Ma è il clima tragico che apre il primo movimento a dare un senso profondo di dramma in corso a tutta l’opera: accordi strappati dai quattro strumenti, una cellula motivica discendente in terzina e pause, tante e drammatiche pause che isolano un febbrile crescendo che s’amplia sempre più fino a condurre l’ascoltatore al secondo motivo, cantabile e quasi popolareggiante, che non è però in grado di donare quiete al frenetico movimento delle parti che nello sviluppo affrontano collisioni motiviche ed armoniche fortemente drammatizzate.
È nel secondo movimento, l’Andante con moto – un tema a variazioni basato, come già si è detto, sul tema principale del Lied Das Tod und das Mädchen, ed in particolare sul corale che funge da introduzione al Lied e che accompagna poi le parole della morte – che la tonalità di sol minore dona un senso struggente di tristezza, rettificato nella conclusione dell’esposizione dalla modulazione in maggiore, laddove (nel Lied originario) le parole della morte «ich bin nicht wild, sollst sanft in meinem Armen schlafen» («io non sono crudele, nelle mie braccia dormirai dolcemente») facevano prevalere il senso d’abbandono su quello della disperazione.
La prima variazione, affidata al primo violino, presenta una linea melodica frammentata e di grande espressione che contrasta, nella seconda variazione, con la voce del violoncello che presenta una versione cantabile del tema. I quattro strumenti si trovano riuniti all'inizio della terza variazione, energica e pulsante, prima che il passaggio a sol maggiore inizi la quarta variazione, delicatamente cantante, che lascia poi posto all'ultima che vede il violino secondo e la viola ripresentare il tema con una pulsazione ritmica che rallenta sempre più, portando questo movimento ad estenuarsi nel finale che trascende verso l’acuto.
Con lo Scherzo, caratterizzato da un rapido tema (che sarà ripreso da Wagner nel Siegfried), fortemente sincopato, si ha la fugace impressione di un'atmosfera più tranquilla, che nel Trio sembra quasi sfiorare la serenità prima che il Presto conclusivo, spettrale nell’evocare il ritmo d’una tarantella che sembra trasformarsi in una danza macabra, prenda il sopravvento. Basterebbe la complessità di questo finale – denso di cellule melodiche che agiscono su blocchi accordali, a volte in sincope – per comprendere quanto insensata sia l’affermazione che Schubert sarebbe stato costantemente impacciato dalle forme classiche. Svolto nella forma di un rondò-sonata assai complesso, con armonie crude e bruschi passaggi di tonalità, il finale cala come un implacabile martello a sottolineare il turbamento d'un animo nobile e sincero che non ha più la possibilità di sottrarsi al proprio destino.
Pierpaolo Zurlo
1809
Napoleone fa costruire a Parigi l’Arco di Trionfo del Carrousel, in stile neoclassico, per celebrare le sue vittorie.
1824
Viene eseguita per la prima volta, il 7 maggio, la Sinfonia n. 9 di Ludwig van Beethoven.
1847
Nell’autunno di quest’anno, un ventenne genovese, studente e patriota, di nome Goffredo Mameli, compone il Canto degli Italiani che verrà poco dopo musicato, a Torino, da un altro genovese, Michele Novaro. Il Canto degli Italiani, nato in un clima di grande fervore patriottico che gi. preludeva alla guerra contro l’Austria, diverrà poi l’Inno Nazionale Italiano.