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GIUDA ALL'ASCOLTO | Messa per il Santissimo Natale
Arcangelo Corelli: Sonata da chiesa op. 3 n.12 in la maggiore per 2 violini e continuo
Alessandro Scarlatti: Messa per il SS.mo Natale: Kyrie
Alessandro Scarlatti: Messa per il SS.mo Natale: Gloria
Arcangelo Corelli: Sonata da chiesa op. 3 n.5 in re minore per 2 violini e continuo
Alessandro Scarlatti: Salve Regina a 4 voci, 2 violini e continuo
Alessandro Scarlatti: Messa per il SS.mo Natale: Credo
Arcangelo Corelli: Sonata da chiesa op. 3 n.2 in re maggiore
Alessandro Scarlatti: O Magnum Mysterium / Beata Virgo per 8 voci in doppio coro e continuo
Alessandro Scarlatti: Messa per il SS.mo Natale: Sanctus
Arcangelo Corelli: Sonata da chiesa op. 3 n.10 in la minore
Alessandro Scarlatti: Messa per il SS.mo Natale: Agnus Dei
NOTE DI SALA
Oggi, di sicuro, è assai più popolare ed eseguita la musica del figlio Domenico, principe del clavicembalo settecentesco e iniziatore del repertorio per il moderno pianoforte. Però è ben conosciuto il ruolo di Alessandro Scarlatti nell’affermazione nell’intera Europa dell’età barocca e classica dello stile musicale italiano, di quello teatrale in particolare. Un ruolo non certo inferiore a quello di Antonio Vivaldi. A differenza del più giovane (di 17 anni) veneziano, Scarlatti senior fu attivo nei maggiori centri musicali italiani del tempo, anche se tuttora resiste il luogo comune che lo vuole iniziatore della scuola napoletana. Il che è vero solo in parte. Nato a Palermo da una famiglia di musicisti, Scarlatti arriva a Roma a 12 anni (1672) dove completa la formazione, comincia ad avere incarichi in chiese e teatri. Solo nel 1683 si trasferisce a Napoli per rappresentare sue opere composte per Roma e vi diventa maestro di cappella reale, con il compito di scrivere per il teatro (un paio di opere all’anno), per il palazzo, per le chiese. Nel 1702 passa a Firenze al servizio di Ferdinando de’ Medici. Torna a Roma reclutato dal cardinale Ottoboni (1703-08) instaurando anche una proficua collaborazione con i teatri veneziani grazie al cardinale (diplomatico, librettista, imprenditore) Vincenzo Grimani. Il quale Grimani lo riporta definitivamente a Napoli nel 1709, dove riprende l’incarico a corte, mantiene il ritmo della sua produzione teatrale e, pur non insegnando in alcuno dei conservatori di musica locali, diventa il riferimento per la nuova generazione di operisti, della grande scuola napoletana (Jommelli, Pergolesi, Leo, Vinci fra i tanti) a loro volta progenitori di Paisiello, Cimarosa per giungere nell’Ottocento a Rossini e Donizetti. Sono oltre 70 le opere teatrali di Scarlatti, distribuite fra 1678 (La villeggiatura di Frascati, a Roma) e 1721 (La Griselda, a Napoli) cui vanno aggiunti una dozzina di intermezzi, una trentina di serenate, una ventina di pezzi staccati da assemblare o integrare in lavori propri o altrui. C’è ovvia continuità con i modelli seicenteschi e veneziani di Monteverdi e Cavalli, ma Scarlatti cristallizza una disposizione formale che prevede sinfonia strumentale d’apertura, narrazione della vicenda con recitativi accompagnati dall’orchestra, emozioni espresse nelle numerose arie “con da capo”, gran concertato collettivo a chiusura d’atto. È il modello vincente, che trionfa in Inghilterra grazie a Händel (incontrato a Roma), in Germania con Hasse (che lo visita a Napoli), in Russia per merito del napoletano Araja. Modello che fatica solo in Francia, espugnata però a metà Settecento dal teatro buffo del napoletano d’adozione Pergolesi in una epocale sfida al melodramma serio del borgognon-parigino Rameau. Di fatto, Scarlatti operista privilegia il teatro serio-tragico-aulico (“dramma per musica”), avvicinandosi solo negli ultimi anni a quello buffo (Il trionfo dell’amore, 1718) che allora comincia a conquistare i favori del pubblico sia aristocratico che popolare. A differenza dei più giovani, che si affidano al canto spiegato e alla pura invenzione melodica, Scarlatti si mantiene fedele a una tradizione di antica scuola romana: rinascimentale e contrappuntistica delle messe di Palestrina, barocca e sobria degli oratori di Carissimi. Combinate con storie macchinose di librettisti modesti o vetusti (Metastasio non compare ancora, è troppo giovane), queste scelte musicali frenano slancio e freschezza (relativa, rispetto a Pergolesi, Hasse, Händel) anche nelle sue opere più mature, compresa l’estrema e pregevole La Griselda, una delle poche sopravvissute all’oblio generale, recuperata nel 1960 ad Hannover dal vulcanico Bruno Maderna (canta anche la giovane Mirella Freni) e rimessa più volte in scena di recente, incisa su disco, disponibile in video su YouTube. L’uso rispettoso della passata tradizione polifonica combinata con innovata vocalità invece rende eleganti e perfino vivaci molte delle tantissime pagine musicali che Scarlatti dedica al repertorio sacro, che comprende ben 36 oratori, un centinaio fra inni, mottetti, Magnificat, spesso di recente scoperta e in parte d’incerta attribuzione. Ruolo importante hanno le messe, ma non si sa bene quante ne abbia scritte. Il catalogo più recente ne elenca dieci, la più importante delle quali, Messa di Santa Cecilia, composta nel 1720, con solisti di canto, coro e orchestra per molti versi anticipa la monumentalità di quelle di Bach, Mozart, Haydn, Beethoven. Meno impegnativa come organico (poche voci divise in due cori, accompagnamento di sole due parti di violino, basso continuo per tastiera e strumenti ad libitum) ma perfetta nello stile è la Messa per il Santissimo Natale, da poco ritrovata negli archivi di Santa Maria Maggiore a Roma, per la quale era stata scritta nel 1707 per celebrare la festività di quell’anno. Serviva per accompagnare la processione che trasferiva all’altare la reliquia della culla/mangiatoia di Betlemme riportata nei tempi delle Crociate e conservata nella basilica papale. Scarlatti, appena assunto come maestro di cappella, intende far bella figura. Pur alle prese con la logistica processionale e con i limitati mezzi a disposizione, inventa una partitura sofisticata, oltre che funzionale. Le nove voci così hanno parti solistiche, si dividono in due cori, si integrano con i minimi strumenti. La lezione cinquecentesca di Palestrina si rivela quando nei dialoghi a polifonia stretta emerge lo scandito canto fermo. Ma ovunque non si perdono i valori del canto. E la scrittura vocale esclude ognuno dei tanti virtuosismi ben presenti nei lavori teatrali e profani. Sono più che mai rispettati i dettami del Concilio di Trento, che vogliono che le pur familiari parole del testo sacro siano perfettamente comprensibili. L’esiguità dell’organico esalta la chiarezza del disegno, che ha una funzionale architettura minimalista. Non c’è spazio per orpelli baroccheggianti. Gli strumenti non disturbano il canto. Piuttosto servono a intercalare con poche battute d’interpunzione le strofe dei testi. Funziona così nelle parti più ampie (Gloria, Credo). Vince la concentrazione in quelle più concise (Kyrie, Sanctus). Si alternano sezioni meditative e vivaci. Non manca un’esibizione di sapienza contrappuntistica nel finale fugato. Il limitato impiego di strumenti nella messa natalizia non significa che Scarlatti senior abbia trascurato il repertorio non vocale. Ha un dominio assoluto degli strumenti del tempo e della tastiera in particolare. Come dimostrano gli impieghi prestigiosi come organista di chiesa e clavicembalista di corte. È lui a impartire le prime lezioni al figlio Domenico, che accompagna a Firenze, e dunque alla scoperta del nuovissimo strumento “col piano e col forte” inventato da Bartolomeo Cristofori, con i risultati che sappiamo. E sempre lui scrive un buon numero di composizioni per tastiera: toccate, sinfonie, partite, una bella serie di variazioni sul classico tema della Follia. Ovviamente Scarlatti conosce bene i nuovi complessi strumentali, la (quasi) moderna orchestra d’archi gestita a Roma dall’immigrato romagnolo Arcangelo Corelli, perfezionatore del “concerto grosso” inventato a Bologna a metà Seicento e portato poi al trionfo europeo del “concerto veneziano” di Antonio Vivaldi. Ancora venti/trenta anni dopo, quando la più moderna formula vivaldiana lo ha reso obsoleto, ne segue l’esempio anche Händel, che esporta a Londra le sue esperienze romane del 1706-12 con la serie di concerti grossi: sei op. 3 (1734) e dodici op. 6 (1740). Anche Scarlatti, che sappiamo autore enciclopedico e attento, si cimenta nel nuovo genere, firmando una canonica serie di dodici Sinfonie di concerto grosso (1715) per orchestra d’archi e inoltre, nel genere cameristico, almeno una ventina di sonate per varie combinazioni di flauti, violini, violoncello con accompagnamento di basso continuo, sempre sul modello di Corelli, a sua volta autore anche delle cinque dozzine di sonate solistiche da camera e da chiesa (dall’op. 1 all’op.5, 1681-1710) che precedono la pubblicazione dei celebri 12 Concerti grossi op. 6 (1714, postuma) e restano il fondamento non solo nello specifico dell’architettura in sé, ma della tecnica violinistica tutta. La musica strumentale “all’italiana” nasce proprio grazie a Corelli, in quegli anni e in quel luogo. Il programma di stasera presenta dunque un florilegio della vita musicale a Roma a inizio Settecento, che è crogiolo di stili che vengono dal settentrione di Corelli e dal meridione di Scarlatti. E ci accorgiamo che il denominatore comune è, per entrambi, il canto, non importa se affidato alla voce o allo strumento. Tanto che un altro autore, l’emiliano e pochissimo noto Antonio Tonelli (Carpi, 1686-1765), attorno al 1730, appoggia testi liturgici sulle melodie di due sonate dell’op. 3 di Corelli trasformandole in antifone. In base alla non differenza, nella lingua e nella sintassi musicale, fra vocale e strumentale, fra sacro e profano.
Enzo Beacco
1689 - Prima rappresentazione di Didone ed Enea di Henry Purcel a Londra, mentre Domenico Gabrieli pubblica i Sette Ricercare, tra i primi brani dedicati al violoncello. Alla Royal Society di Londra, Johann Weikard presenta il primo studio scientifico al mondo sui fenomeni carsici. In Giamaica Sir Hans Sloane (in seguito fondatore del British Museum) inventa il “chocolate milk”.
1707 - Haendel pubblica ben 45 arie da concerto, ma incontra anche a Venezia Domenico Scarlatti, figlio di Alessandro, durante la sua tournee in Italia. Il primo Maggio, nasce la Gran Bretagna, con l’unione della Scozia con l’Inghilterra. A fine anno, dopo un violentissimo terremoto, il Monte Fuji in Giappone erutta per l’ultima volta nella sua storia. Per la prima volta un pittore Olandese, Dirk Valkenburg, dipinge una fedele rappresentzione di un paesaggio (una piantagione) in un paese lontano: il Suriname.
1730 - Canaletto dipinge Il Canal Grande e Santa Maria della Salute, che ora si trova al castello di Windsor, mentre Antonio Vivaldi si trasferisce a Praga ottenendo un grandissimo successo con le sue opere liriche. Uno sconosciuto fabbro inglese, Joseph Foljambe, inventa l’aratro moderno in ferro. Dopo gli inizi qualche anno prima a Pompei, anche ad Ercolano iniziano i primi scavi scientificamente organizzati.