Wolfgang Amadeus Mozart
(Salisburgo 1756 - Vienna 1791)
Divertimento per archi n.3 in Fa maggiore K. 138
Wolfgang Amadeus Mozart
(Salisburgo 1756 - Vienna 1791)
Divertimento per archi n.3 in Fa maggiore K. 138
Hugo Wolf
(Windischgätz 1860 - Vienna 1903)
Serenata Italiana per archi in Sol maggiore
Franz Schubert
(Vienna 1797 - Vienna 1828)
Quartetto per archi n.12 in do minore D. 703 “Quartettsatz”
Felix Mendelssohn Bartholdy
(Amburgo 1809 - Lipsia 1847)
Ottetto in Mi bemolle maggiore per archi, op.20
È tutto all’insegna della leggerezza, il programma del concerto di stasera. Sentiremo soltanto il suono di pochi archi, senza i fiati in ottone e in legno e senza le percussioni di una grande orchestra. Insiemi senza solisti. Lavori fuori dagli schemi classici di sonate, trii, quartetti. Pura musica da camera, come si faceva una volta, in casa propria, quando la riproduzione meccanica del suono non esisteva ancora. Musica essenziale, però capace con pochi mezzi di provocare emozioni forti, ora soavi ora drammatiche.
Iniziamo con Mozart, l’autore che sulla leggerezza di scrittura (certo non di profondità espressiva) ha costruito la sua arte. Le tre brevi composizioni (K136, 137, 138) che scrisse a sedici anni, nel 1772, facendosi largamente assistere dal padre Leopold, sono un problema soltanto per chi è interessa-
to alla classificazione in “generi”. Alcuni esegeti collocano questi lavori sotto la voce “quartetti” perché compaiono soltanto le quattro parti per due violini, una viola e un violoncello. Altri esegeti li infilano nel gruppo di “serenate, cassazioni e – appunto - divertimenti”. Gli uni osservano che il ridotto numero dei movimenti (tre o quattro) e la mancanza di esplicite forme di danza siano chiari indizi di “spirito quartettistico”. Gli altri vedono nella semplicità della scrittura e della costruzione il segno della musica d’uso settecentesca, destinata a dilettanti di buona volontà, e pertanto concludono che si tratta di serenate. Il problema non si pone invece per esecutori e ascoltatori. Il giovane Mozart riesce, infatti, a scrivere musica deliziosa con minimi mezzi tecnici e con straordinaria capacità inventiva. Come nei due precedenti, il Divertimento K 138 è legato allo stile tardo barocco, anzi rococò italiano, con ampio spazio per la melodia e poco per l’elaborazione tematica, alternando episodi umoristici e patetici, in forma semplice e con scrittura adatta sia al solo quartetto sia all’orchestra d’archi, in funzione
dei mezzi a disposizioni e della preferenza per un suono trasparente oppure per uno corposo. Breve e leggera è anche la Serenata italiana di Hugo Wolf. Ha struttura di rondò, in cui i vari episodi non si susseguono ma s’intrecciano, nascono per elaborazione continua del materiale tematico di base. La componente italiana si può intuire, ma non definire, nella cantabi-
lità della melodia, nella freschezza dei ritmi, nella voglia di colore e di sole che Wolf traduce in musica con eleganza, fantasia, senza scadere in luoghi comuni. Come sarebbe (forse) stato se il progetto originale fosse stato completato. Infatti, la Serenata italiana che ascolteremo è il più ampio frammento di un progettato e incompiuto quartetto per archi, abbozzato in soli tre giorni (2-4 maggio 1887), accanto al completamente di un importante ciclo di Lieder su testi di Joseph von Eichendorff (1788-1857). La melodia di uno di questi Lieder (Der Soldat) parve a Wolf adatta a ulteriore sviluppo, appunto in un movimento di quartetto per archi. Dello stesso anno è anche lo schizzo di un Intermezzo umoristico, pure per quartetto. Evidentemente insoddisfatto, cinque anni dopo Wolf lo strumentò per piccola orchestra e cominciò a scrivere altri movimenti in modo da creare una Suite
italiana. Di un secondo movimento (Langsam, klagend) furono composte e orchestrate meno di trenta battute nel gennaio 1893, seguite dalle 45 battute del previsto terzo (“Scherzo, Presto”, 1894). Forse il finale doveva essere una tarantella sul tema della canzone napoletana Funiculì, Funiculà (1880) di Luigi Denza, ma non sono rimaste tracce musicali. Sicuro è che il progetto strumental-quartettistico rimase incompiuto quando su Wolf calò il sipario della follia (1897). Fu il compositore Max Reger a raccogliere le poche carte del 1887 e a pubblicarle postume col titolo appunto di Serenata italiana. Pure incompiuto è il quartetto programmato da Schubert nel dicembre 1820: aveva abbandonato il genere ben quattro anni prima, occupato in altri progetti e di sicuro insoddisfatto della quindicina di quartetti abbozzati e in parte completati sul modello classico di Haydn, Mozart e del giovane Beethoven. Del nuovo lavoro ci è pervenuto, completo, solo il primo movimento, denominato genericamente Quartettsatz, ossia tempo di quartetto.
Rispetto alle esperienze precedenti è una svolta rivoluzionaria. I legami con la tradizione sono bruscamente interrotti. Anche le sperimentazioni beethoveniane dell’età centrale (op. 53, 74, 95: 1806-1810) non sono
riferimenti obbligati. L’architettura non ha analoghi precedenti o contemporanei. L’organizzazione tripartita “esposizione-sviluppo-ripresa” della classica forma sonata è in apparenza rispettata, però mancano i presupposti oggettivi. Infatti, non esistono nette e contrastanti funzioni tematiche in tutta la serie di motivi che fa da corona all’ampia melodia principale. Serve per precisare e ampliare l’ambito espressivo, certo non per creare contrasti dialettici. Dinamica e
coerenza interna vengono garantite con altri mezzi, coordinando (in un impianto tematico) un impianto armonico singolarmente efficace alcune cellule elementari che ricorrono per tutto il lavoro: il cupo tremolo che apre il movimento, le brusche folate ascendenti, il pulsare di ritmi ostinati anche nei momenti di maggiore distensione lirica. Ne esce un affresco denso di suggestioni e di tensioni espressive in cui il pessimismo di Schubert appare inconfondibile, al di là delle sordine che – qui come altrove – sono poste ai sentimenti più personali. Mentre la leggerezza del suono è assicurata dalla frenesia dinamica. Questo “Allegro assai” avrebbe dovuto essere il primo movimento di un quartetto di vaste proporzioni. Perché Schubert si sia fermato dopo aver scritto una quarantina di battute del successivo “Adagio” non è dato sapere. Forse furono le contingenze della vita, forse la carica innovativa di tanto “Allegro assai” aveva bisogno di sedimentare prima di essere trasfuso negli altri movimenti. Di sicuro sappiamo che per altri tre anni Schubert non scrisse quartetti; e che la lista delle opere iniziate e non completate in quel tempo comprende la famosa Ottava sinfonia, fermata al secondo movimento e, infatti, notissima come Incompiuta. La leggerezza è davvero la cifra di Mendelssohn. Gli viene ovviamente da Mozart, che lui aveva studiato a fondo fin da bambino. Si sente in tutte le sue composizioni, a partire dalle giovanilissime 13 sinfone per archi composte attorno ai tredici anni. Si sente ovviamente nel suo primo grande capolavoro, l’Ottetto che ascolteremo, finito il 15 ottobre 1825, a sedici anni. È vero che l’Ottetto ha idee e invenzioni geniali, e dunque senza età. Come la bellissima frase che regge tutto il primo movimento, che letteralmente sprizza fuori da un sontuoso disegno accompagnante e poi svetta leggera generando e riassorbendo nuovi motivi e nuovi incisi. O il colore timbrico dello Scherzo, così ben costruito con segmenti di poche note che volteggiano leggeri e compatti come uno sciame fantastico e colorato. Sono innovazioni che avranno un influsso straordinario sulla scrittura musicale delle generazioni successive e che da sole basterebbero a garantire a Mendelssohn un posto d’onore nella storia della musica. Ma il miracolo dell’Ottetto, in fondo, è il suo incredibile grado di maturità tecnica e formale. L’architettura del primo movimento è perfetta non solo in quanto opera d’arte ma anche come saggio accademico di forma musicale. Il sedicenne Mendelssohn sa contornare la melodia principale con i ritmi e le armonie giuste, la intreccia con polifonie classiche e barocche, ne isola segmenti che elabora in modo indipendente e subito riunisce in poche battute. Il tutto seguendo uno schema classico di forma sonata con ampia coda che riassume e conclude. E lo Scherzo non è solo invenzione di timbri nuovi per gli antichi archi, è incredibile artigianato compositivo, conoscenza delle risorse tecniche degli strumenti, dei trucchi che servono a sciogliere i nodi e mantenere il tessuto trasparente anche dove il gioco delle polifonie e degli incroci diviene più fitto. È il capolavoro entro il capolavoro. La sorella Fanny scrisse che il geniale fratello l’aveva scritto di getto, ispirandosi agli ultimi versi della scena La notte di Valpurga del Faust di Goethe. Gli altri due movimenti hanno un aspetto esterno meno abbagliante, ma ancora una volta sono modelli di finezza costruttiva. L’elegiaco “Andante” è basato su impercettibili mutamenti di geometrie e di colori nel tessuto di fondo. Evita con cura che qualche melodia troppo appariscente turbi la logica del disegno complessivo. Il “Presto” finale è una bella continuazione dello “Scherzo”, non è più un mondo incantato di elfi e folletti, ma quello reale, sempre leggero e divertente, però più solido, più concreto. Un motivo dello “Scherzo” infatti sorge nel finale, assieme al tema d’apertura e a nuove varianti inventate al momento, in una struttura di rondò che termina con una trascinante, e alla fine veramente drammatica, stretta sul tema principale. L’Ottetto fu eseguito subito dopo il completamento nelle riunioni musicali private che si tenevano la domenica mattina nella sfarzosa casa dei Mendelssohn a Berlino. La prima esecuzione pubblica avvenne al conservatorio di Parigi il 17 marzo 1832.
Enzo Beacco
1772 La creatività musicale di Mozart ci dona 6 sinfonie, 26 minuetti, 3 Divertimenti, 3 Quartetti e moltissimi altri brani tra musica sacra e profana. Rutherford scopre che l’aria e’ composta per la maggior parte da azoto e riesce ad isolarlo dagli altri componenti. Il 13 Luglio James Cook parte per la sua seconda esplorazione, portando con se il pittore William Hodges per illustrare le sue scoperte.
1892 Prima della Kullervo Symphony di Jan Sibelius e de Lo Schiaccianoci di Čajkovskij. Per la prima volta i virus vengono classificati come un agente diverso dai batteri. Le avventure di Sherlock Holmes viene pubblicato in forma di libro, dopo essere uscito a puntate su un quotidiano.
1820 Maometto II di Gioacchino Rossini esordisce con un fiasco al San Carlo di Napoli: verrà ampiamente rivista prima di tornare in scena a Venezia l’anno successivo. Insieme alla Venere di Milo, torna alla luce anche la statua di Ramses II. Molti esploratori scoprono indipendentemente l’Antartide.
1825 Il Barbiere di Siviglia è la prima opera italiana a debuttare a New York; la soprano del cast, Maria Sitches, incontra il banchiere Eugène Malibran, e lo sposa in pochi giorni. Cauchy, in matematica, teorizza integrali e derivate.