note di sala con guida all'ascolto - Rudolf Buchbinder

Teatro Verdi Trieste, Riva 3 Novembre 1, Trieste
Lunedì 31 marzo 2025, ore 20:30

Ludwig van Beethoven
Sonata per pianoforte n.8 in do minore, op. 13 “Patetica”

Ludwig van Beethoven
Sonata per pianoforte n.14 in di diesis minore, op. 27 n.2 “Al chiaro di luna”

Ludwig van Beethoven
Sonata per pianoforte n.10 in sol maggiore, op. 14 n.2

Ludwig van Beethoven
Sonata per pianoforte n.23 in fa minore, op. 57 “Appassionata”

NOTE DI SALA

 

Beethoven non ha un rapporto facile con il pianoforte, ma è lo strumento della sua vita. Quale pianoforte, ci si domanda, con il senno di poi e con gli strumenti della moderna filologia? Sappiamo che una classica distinzione della sua produzione in “maniere” è suggerita dalla netta suddivisione cronologica dei tre gruppi dei quartetti per archi: giovanili (1800-01), centrali (1805-14), estremi (1825-26). Sarebbe forse meglio leggere le “maniere” di Beethoven considerando invece i tre, pure ben distinti, cicli delle sonate per pianoforte: prime (1795-1802), mature (1803-10), ultime (1816-22). Cicli tutti legati a precisi quanto vistosi cambiamenti nelle scelte dei pianoforti e del conseguente diverso stile compositivo. Con un concreto nesso storico-biografico: il miglioramento delle tecnologie costruttive che non riesce a compensare la progressiva sordità dell’autore. Con questo criterio in mente, applicato alle prime due “maniere pianistiche”, vale allora la pena di rileggere il programma di stasera.

Non si sa bene su quali strumenti si formi il giovane Beethoven.   Trasferitosi a Vienna (1792), si mette subito alla ricerca del suo pianoforte ideale. Fra i tanti (un centinaio!) di costruttori di pianoforti allora attivi in città e dintorni, preferisce affidarsi ad Anton Walter (compra un suo strumento nel 1795) e a Johann Andreas Streicher, genero ed erede di quel Johann Andreas Stein che già nel 1777 aveva incantato Mozart. 

A Vienna, nell’ultimo decennio del Settecento, Beethoven diventa un pianista alla moda. La chiave della sua fortuna, al di là del valore intrinseco della musica, è il modo con cui si presenta in pubblico. Pur non perfetto nella tecnica, è competitivo con i virtuosi che affollano la Vienna di allora. Inizia anche la carriera di pianista itinerante, esibendosi oltre che a Vienna, nel 1796 a Praga, Dresda e Berlino, impegnato con i primi concerti suoi e con il K 466 di Mozart. Attività che subito finisce, anche a causa dell’incipiente sordità.

Meno brillante e virtuoso di tutti i concorrenti, Beethoven sa far cantare lo strumento ed è un insuperabile improvvisatore. Un caso esemplare è la Sonata op. 13 Patetica che apre il programma, celeberrima anche per il sottotitolo (apocrifo). Libero e quasi improvvisatorio primo movimento, con un tenebroso adagio che introduce e intercala un drammatico “Allegro con brio”. Il sublime, nel giovane Beethoven, trova le sue prime espressioni nel successivo “Adagio cantabile”. E il movimento finale è un perfetto esempio di rondò classico con ritornello e strofe alla maniera di Mozart e Haydn. La Sonata op. 14 n. 2, composta nello stesso tempo (1798-99), a modo suo mostra maggiore rispetto per le maniere correnti, con l’iniziale “Allegro” fatto di educati confronti fra temi diversi, il centrale “Andante” svolto con bonaria scioltezza, però con uno spigoloso finale che quasi inaugura la serie degli “scherzi” beethoveniani.

Beethoven conquista Vienna anche con il suo modo di presentarsi e usare lo strumento. Non c’è, in lui, il portamento nobile e affettato dei concorrenti diretti di scuola mozartiana e comunque asburgica. Scarmigliato e veemente aggredisce la tastiera con mani fortissime, alternando rombi tempestosi a squarci di sereno. Riesce a trasmettere ai suoi ascoltatori aristocratici e borghesi le emozioni del nascente romanticismo. Gli piace sperimentare incroci melodici e accordi inconsueti, liberare risonanze misteriose. Come succedeva nel Pantalon (Pantaleon), strumento al tempo ancora diffuso nella Germania settentrionale e gradito in Francia e Austria, utilizzato da Carl Philipp Emanuel Bach. Il Pantalon non aveva smorzatori e la bravura dell’esecutore risiedeva nel dominare il groviglio delle risonanze così generate.

Se ne coglie l’eco, in Beethoven, nel celeberrimo primo movimento della sonata detta Al chiaro di luna (Quasi una Fantasia op. 27 n. 2, 1801) da suonarsi “senza sordini”, cioè senza smorzatori. E nei tanti casi in cui quel groviglio è opportuno, come nelle successive sonate Tempesta (op. 31 n. 2, 1801-02) e Waldstein (op. 53, 1804).  Il suono diventa luminoso nell’”Allegretto”, ma è nel turbinoso finale “Presto agitato” che l’urgenza espressiva scardina la natura dello strumento di allora. Beethoven, infatti, porta nella Vienna imperiale e nella musica tutta la questione del timbro, cioè del colore sonoro. Non più il suono cristallino dell’antico clavicembalo a plettro, ma la forza flessibile del nuovo pianoforte a martelli, pur frenata dai limiti meccanici e sonori dei fortepiani “viennesi” Walter e Streicher-Stein. Limiti che Beethoven conosce perfettamente e che lo frustreranno per tutta la vita.

Le composizioni che Beethoven scrive negli anni 1794-1803 si adattano ai pianoforti Stein-Streicher e Walter. Ovviamente non si adattano più ai clavicembali, sui quali è impossibile realizzare i non pochi segni dinamici apposti sugli autografi: pianissimo, piano, forte, fortissimo, sforzato, crescendo, diminuendo. La scrittura è sempre innovativa. Si discosta assai da quella di Mozart e Haydn.

In un quadro generale in continuo cambia-mento, a inizio Ottocento, Beethoven ri-volge l’attenzione a Parigi, dove, archiviata la Rivoluzione, splende l’astro di Napoleone e la vita musicale prende nuovo slancio.  Fra l’altro, nel 1801, Haydn riceve a Vienna, come omaggio promozionale, un pianoforte costruito a Parigi da Sébastien Érard, il quale, rientrando da Londra, aveva portato con sé l’avanzata tecnologia “meccanica inglese” di Broadwood, l’aveva migliorata e la utilizzava in una propria fabbrica, prontamente allestita in Francia.  In casa Haydn, Beethoven prova il nuovo strumento, si convince della sua superiorità sonora rispetto a quelli viennesi e fa in modo di ricevere, nel 1803, sempre in omaggio, un Érard di grandi dimensioni. Il risultato artistico non si fa attendere. Nascono così le Sonate op. 53 Waldstein (1803) e op. 57 Appassionata (1805), seguite dal Quarto concerto (1805-06) più altre sonate fra le quali l’op. 81a Les adieux (1810), a sua volta preceduta (ispirata?) dall’analoga di Dussek. Sono composizioni impegnative sia per l’esecutore sia per lo strumento. È anche difficile immaginare un pianoforte viennese classico alle prese con le ondate sonore della grande orchestra nel Quinto concerto “Imperatore” (1809-10) e con il tumultuoso gran finale dell’Appassionata, così ben preparato dalla lineare scansione del tema con variazioni (“Andante con moto”) e simmetrico rispetto alla dialettica dell’iniziale “Allegro assai”.

Ma ancora una volta l’immaginazione dell’artista supera la tecnologia del costruttore. L’insoddisfatto Beethoven chiede al viennese Streicher-Stein di intervenire sull’Érard con modifiche e riparazioni; e anche di fargli avere uno dei nuovi pianoforti della sua fabbrica, potenziati e aggiornati per far fronte alla feroce concorrenza. I risultati sono modesti. L’Érard finisce in un angolo, il nuovo Streicher regge male le percussioni di un Beethoven sempre più sordo che picchia sulla tastiera per estrarre un suono che non riesce a udire. Ne consegue una depressione durata quasi cinque anni e che si attenua solo attorno al 1816.

Inizia la “terza maniera pianistica”. Forse stimolato da un nuovo modello Streicher-Stein, Beethoven riprende a scrivere per pianoforte. La Sonata op. 101 è la prima che porta sul testo stampato l’indicazione für das Hammerklavier (per tastiera a martelli), subito trasformata in titolo nella successiva e immensa op. 106 (1818-19). Arriva un nuovo pianoforte, un Broadwood con meccanica inglese. Insoddisfacente, come i successivi (e ultimi) Lechen e Graf. Però Beethoven continua a scrivere ancora per pianoforte (op. 109, 110, 111, 120, 126), come sempre, ma per uno strumento il cui suono reale sente sempre meno, che diventa virtuale, dematerializzato, assoluto. Come, in fondo, tutta la musica sua.

Enzo Beacco

Curiosando

1798 - Mentre nei “giovani” Stati Uniti d’America nasce la Banda dei Marines, in Europa le armate napolenoiche invadono sia lo Stato della Chiesa che la Svizzera, creando “repubbliche” dipendenti dalla Francia, ma anche l’Egitto, portandosi al seguito numerosi studiosi: nasce così l’Egittologia.

1801 - l’opera Ginevra di Scozia inaugura il Teatro Verdi di Trieste (allora chiamato Teatro Nuovo) mentre a Lucca un giovane Nicolò Paganini vince il concorso di primo violino per l’orchestra locale. In Scozia viene inventato il “diagramma a torta” per rappresentare i dati statistici.

1805 - Beethoven dirige a Vienna la prima assoluta in pubblico della Sinfonia nr. 3 Eroica, in un anno dominato dalle guerre Napoleoniche. Rimasta vedova a soli 27 anni, Nicole Ponsardin prende le redini della azienda vinicola familiare ed inventa il famosissimo marchio Chanpagne Veuve Cicquot.