GUIDA ALL'ASCOLTO CONCERTO N° 1472 BRUNO GIURANNA & TRIO CHAGALL

Teatro Verdi Trieste, Riva 3 Novembre 1, Trieste
Lunedì 25 ottobre 2021, ore 20:30

Johannes Brahms (1833 - 1897)
Trio in Si maggiore per archi e pianoforte, op.8 (1853-54)
I. Allegro con brio
II. Scherzo. Allegro molto. Trio: Meno Allegro
III. Adagio non troppo
IV. Finale. Allegro molto agitato

Richard Strauss (1864 - 1949)
Quartetto in do minore per pianoforte ed archi, op.13, TRV 137 (1883-84)
I. Allegro
II. Scherzo. Presto - Molto meno mosso
III. Andante
IV. Finale. Vivace

Brahms aveva vent’anni quando Robert Schumann lo presentò all'attenzione dell'ambiente musicale in un articolo intitolato Neue Bahnen (Vie nuove), pubblicato sulla «Neue Zeitschrift für Musik» del 28 ottobre 1853. Il giovane lo aveva colpito con i suoi lavori per pianoforte, da camera e vocali (molti dei quali poi distrutti) che gli aveva fatto ascoltare il primo ottobre 1853, a Düsseldorf. In quel periodo stava già lavorando al Trio in Si maggiore, op.8 abbozzato durante l'estate a Mehlem, proseguito a Düsseldorf e completato ad Hannover, nel gennaio del 1854, talmente influenzato, creativamente, da Schumann da fargli firmare il manoscritto con uno pseudonimo apertamente schumanniano: Johannes Kreisler junior. Il 27 novembre 1855 il Trio ebbe la sua prima esecuzione pubblica alla Dodsworth's Hall di New York e pochi giorni dopo, il 18 dicembre, a Breslavia, conobbe la prima europea, con Clara Schumann al pianoforte

Ora, a ben guardare il catalogo brahmsiano, ad eccezione d’un Trio giovanile, poi disconosciuto e pubblicato postumo, e uno Scherzo inserito in una Sonata per violino e pianoforte scritta a sei mani assieme a Schumann ed Albert Dietrich, l’op. 8 risulta essere la sua prima, vera composizione cameristica. Pone le premesse del successivo sviluppo della sua arte e non può perciò sorprendere l'interesse nutrito nel tempo da Brahms verso questa sua prima opera; interesse che porta ad una completa revisione di questo lavoro, su suggerimento di Hanslick, trentacinque anni dopo, nel 1889 (una prassi del tutto inconsueta per il compositore amburghese, va notato). Il perché del ritorno a questa pagina giovanile non è ben chiaro: alcuni degli amici più cari di Brahms che avevano avuto modo di ascoltarlo in privato poco dopo il completamento, fra cui il violinista Joachim, lo avevano lodato incondizionatamente. Clara invece – per la quale Johannes nutriva un amore incondizionato – aveva avanzato delle perplessità sul primo movimento. Ma nemmeno la nuova versione lo convinse. In una lettera all’editore, Simrock, scrive: «Ciò che lei vorrà fare del vecchio [trio], fonderlo o ristamparlo, mi è del tutto indifferente. Sarebbe d'altronde inutile dire qualcosa in proposito. Penso solo che il vecchio continuerà a vendersi male, non per colpa della notevole bruttezza, ma delle molte difficoltà inutili».

È questa la versione presente in programma. Sta perciò a noi valutarne la bontà. È vero che questa prima stesura presenta svariate difficoltà tecniche per gli esecutori, giudicate eccessive se viste in un’ottica di vasta diffusione commerciale com’era quella riservata alla musica da camera (destinata anche ad ambienti salottieri e borghesi); e forse l’interesse principale di Brahms, nel revisionarlo, era stato anche quello di ridurne fortemente una certa prolissità (si valuti che nella nuova versione, per esempio, il solo ultimo tempo viene ridotto da 518 a 322 battute). Ma la prima versione è indubbiamente seducente: si ascolti il primo tema dell’Allegro, voluttuoso come un canto dell’anima; il suo passare tra i diversi strumenti lo innalza fino ad un luminoso assieme che un intreccio di terzine congiunge al secondo tema, quasi un recitativo, che poi si libera pienamente in ampia melodia. Lo Sviluppo, dilatato senza soluzione di continuità su diversi piani dinamici, porta ad un turbinoso rimescolamento di elementi tematici che quasi nascondono il ritorno, in tonalità minore, del primo tema che poi sboccia radioso in modo maggiore portando questo movimento alla sua conclusione.

Energico e dinamico, leggero e fatato, non immune da reminiscenze mendelssohniane, lo Scherzo indugia fra colorismo e lento dondolio ritmico (nel Trio) per poi planare sulla pacata rarefazione dell'Adagio, costruito su due idee antifonali: una sorta di misterioso e solenne corale ed una struggente melodia affidata al violoncello che deriva dal dodicesimo Lied dello Schwanengesang di Schubert.

Ondulazioni cromatiche iniziali rendono il tema dell'Allegro conclusivo quasi enigmatico prima che una concitata elaborazione di vari frammenti melodici, seguita dal secondo tema e da una libera fantasia di chiusura, porti questo esperimento giovanile alla sua ardente conclusione. E questo alla fine rimane: il senso profondo d’un vigore giovanile che non viene mai meno. Imperioso e deciso.

 

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Il Quartetto in do minore, op. 13 di Richard Strauss ripropone, come il Quartettsatz di Mahler, un rapporto strettissimo con Brahms. Frutto del biennio 1883-84, anni in cui cercava di affermarsi coltivando generi del repertorio strumentale brahmsiano (concerti, serenata e suite per fiati), questo lavoro è una delle opere chiave della sua giovinezza, latore d’una coerenza di vocabolario che prevedeva la possibilità (già aperta da Wagner) di sfruttare le ricchezze della tonalità tardoromantica all'interno di una rigida disciplina formale: audace dal punto di vista armonico e chiarissimo nel suo disegno architettonico non può non evocare tra i suoi maestri ideali Brahms e Schumann dai quali apprende la lezione sull'arte del contrappunto, specie nel trattamento della linea del basso che dà equilibrio all’insieme, in modo che l'artificio non sia mai fine a se stesso. E il risultato non può che essere un nitore formale che rende espressive ed efficaci le sue originalissime frasi melodiche (zeppe di indicazioni come “con espressione”, “molto appassionato”, ecc.).

Si ascolti attentamente, ad esempio, il primo movimento, con quel gesto tipicamente brahmsiano di dare un senso tematico a tutte le figure, anche a quelle di accompagnamento, derivandole da elementi pertinenti ai motivi tematicamente conduttori, principali. Il risultato è un invito al molteplice ed alla varietà motivica che dà una ricchezza prodigiosa allo sviluppo, teso e tempestoso, nel quale l'armonia prende strade impreviste sorprendendo noi ascoltatori sino alla conclusione del movimento quando, in modo del tutto imprevisto, la tonalità vira in Do maggiore (la più lontana dall'impianto), con un effetto di impressionante trasparenza rispetto alla cupa torbidezza d’insieme.

Oppure lo Scherzo, vicino al modello schumanniano per l'alternanza tra l'irruenza dello Scherzo e la distensione lirica del Trio: l’incalzante aumento della velocità ritmica dei piccoli incisi tematici danzanti viene costruito con l’infittirsi del dialogo tra gli strumenti e dal gioco delle pause mentre – nel Trio – la melodia affidata agli archi, col pianoforte che semplicemente li accompagna, si distende serena. Così come avviene anche nell'Andante il cui lirismo, per ampi intervalli, transita trascolorando fra gli strumenti prima che il Finale conceda loro più spazi autonomi nei quali “cantare” da soli, creando minimi spazi di quiete in un movimento la cui complessa costruzione tematica guarda, una volta di più, a Brahms: figure che all’inizio fanno parte del percorso armonico nel basso diventano piccoli spunti tematici utili ad un serrato gioco d'imitazione, alla luce di quella ricorrenza ciclica dei temi tanto cara agli epigoni del Romanticismo che così facendo superavano le barriere della tradizione e della forma.

Se ne era accorto Glenn Gould che, in Perorazione per Richard Strauss (del 1962), aveva notato: «La musica di Strauss è l'opera di un uomo che arricchisce la propria epoca perché non le appartiene e che parla per ogni generazione perché non s'identifica con nessuna. È una suprema dichiarazione di individualità: la dimostrazione che l'uomo può creare una propria sintesi del tempo senza essere vincolato dai modelli che il tempo gli impone».

 

Pierpaolo Zurlo

Curiosando

1864

Il 29 novembre, 700 soldati della milizia statale comandati dal colonnello John Chivington, nonostante i vari trattati di pace firmati dai capi tribù locali con il governo statunitense, irrompono in un accampamento di circa 600 nativi americani, su un'ansa del fiume Big Sandy Creek provocando una carneficina di donne e bambini. Come riferito da molti testimoni oculari, i corpi furono scalpati e in molti casi ripetutamente mutilati da parte dei soldati.
Nonostante le successive investigazioni sull'operato di Chivington e dei suoi uomini, nessuna misura punitiva fu presa nei loro confronti. I fatti di Sand Creek provocarono un esodo di massa delle tribù native dal Colorado orientale.

Al massacro di Sand Creek è esplicitamente dedicata Fiume Sand Creek (1981) di Fabrizio De André e Massimo Bubola.

1897

Il compositore sudafricano Enoch Sontonga, un insegnante di una scuola metodista missionaria e direttore di coro di un paese nei pressi di Johannesburg, scrive Nkosi Sikelel’ iAfrika (in lingua xhosa “Dio protegga l'Africa”) che diventerà, nel 1995, l'odierno inno nazionale del Sudafrica (e anche della Tanzania e  dello Zambia). Composto come inno ecclesiastico, negli anni ’20 del Novecento divenne canto di lotta contro l'apartheid venendo scelto, nel 1925, come inno ufficiale del partito di Nelson Mandela, l'African National Congress (ANC).

Paul Simon, Miriam Makeba e i Ladysmith Black Mambazo lo eseguiranno congiuntamente nel tour di Graceland.

1949

Ad inizio marzo, un’ondata di freddo colpisce l’Italia facendo registrare basse temperature e caduta di neve fino alle pianure e alle aree costiere. In Toscana, la stazione meteorologica di Firenze Peretola, il 5 marzo, registra -11,6 °C; in Abruzzo, la stazione di Campo Imperatore registra -23,4 °C mentre in Sicilia vengono registrati -7,0 °C alla stazione di Enna; in Sardegna, a Capo Caccia, la temperatura scende a -2,7 °C.