Wolfgang Amadeus Mozart
(Salisburgo 1756 - Vienna 1791)
Divertimento per archi in Re maggiore KV136
Wolfgang Amadeus Mozart
(Salisburgo 1756 - Vienna 1791)
Divertimento per archi in Re maggiore KV136
Edward Elgar
(Broadheath 1857 - Worcester 1934)
Introduction and allegro, op. 47
Pyotr Illic Tchaikovsky
(Votkinsk 1840 - San Pietroburgo 1893)
Serenata per orchestra d’archi in Do maggiore, op. 48
È un simpatico (e conciso) percorso nella storia della musica per soli strumenti ad arco che ci propone la corrente stagione concertistica. Ci segnala che il passaggio dalla combinazione di voci umane a quella degli archi moderni si è sviluppato nel corso di un buon mezzo millennio e dura tuttora. Appunto nel corso del Cinquecento la musica si libera dalla totale sudditanza alla parola e trova un linguaggio autonomo. Si consolida l’armonia, intesa come sistema di regole per l’organizzazione della sovrapposizione di più voci e più melodie. Gli strumenti, soprattutto quelli ad arco (violini, viole, violoncelli) cominciano ad avere intonazioni precise e affidabili. Riescono a imitare le voci umane dei cori polifonici rinascimentali, nei quattro registri deputati di soprano, contralto, tenore e basso. Si formano i primi insiemi strumentali, le future orchestre. Il salto di qualità avviene nel secolo successivo.
Ne abbiamo seguito la nascita, prima con la scuola fiorita a Roma a fine Seicento con Alessandro Scarlatti e Arcangelo Corelli. Poi con la scuola veneziana di Antonio Vivaldi, il cui caposaldo Estro Armonico op. 3 diventa riferimento assoluto in tutta Europa e fa dell’Italia la culla della musica strumentale moderna. Con il Quartetto Jerusalem abbiamo isolato tre momenti nella successiva evoluzione della formazione cameristica più prestigiosa con quartetti di Mozart, Dvořák, Šostakovič. Con la Camerata Salzburg abbiamo avuto l’occasione di seguire un’altra linea evolutiva dei complessi strumentali per soli archi con organico libero (Mozart, Wolf), quartetto semplice (Schubert) e doppio (Mendelssohn). Su questa linea si colloca il programma di stasera, con un campione significativo di tre composizioni datate tardo Settecento, pieno Ottocento, primo Novecento, con organici diversi ma integrati, scelti per valorizzare i timbri e i volumi sonori di fonti musicali assolutamente omogenee.
Il caso del Divertimento in re maggiore K 136 di Mozart è esemplare di un primo livello di sviluppo della tradizione italiana. Non tanto riferita all’esibizione di virtuosismo tecnico di un concerto solistico destinato all’esecuzione in pubblico, alla maniera degli eredi di Vivaldi nel primo Settecento (Pietro Locatelli, Francesco Geminiani, Francesco Maria Veracini, Giuseppe Tartini, ovviamente Johann Sebastian Bach). Piuttosto si tratta di un genere legato alle minori ambizioni di musiche scritte per intrattenimento, accessibili anche a dilettanti e comunque prodromi della nascente musica da camera. Come praticata (anche) dal prolifico milanese Giovanni Battista Sammartini.
Non a caso, il lavoro in questione, il primo di Mozart nel genere e parte di una terna omologa (K 136, 137, 138) che nasce nel 1772 a Salisburgo, nell’intervallo fra il secondo e terzo (ultimo) viaggio in Italia. Quando il sedicenne Mozart ha ben assimilato lo stile tutto italiano di una musica strumentale
agile e leggera, adatta a intrattenere in palazzo o in giardino un pubblico di gaudenti aristocratici. Il genere prevede appunto l’accessibilità a combriccole musicali formate in prevalenza da personale di servizio con rudimentale capacità esecutiva. L’organico è variabile, in funzione dei mezzi disponili, che di regola sono le solite quattro parti per archi solisti o loro multipli, con eventuale concorso di fiati. La forma è una semplice alternanza di movimenti allegri e lenti, di ritmi vivaci e di melodie carezzevoli, con denominazione corrente (serenata, notturno, cassazione, divertimento…) che chiarisce ancor più la natura dei lavori.
Il genere in sé appare minore, ma nel caso di Mozart, ci regala quel capolavoro assoluto e celeberrimo, non più giovanile ma assai maturo (1787) intitolato Eine kleine Nachtmusik K 525 con sovrabbondante traduzione italiana Piccola serenata notturna. Anche Haydn produce cose simili in quantità, ma ne fa la piattaforma per sviluppare il genere principe della musica da camera, il quartetto per archi, che ha gli sviluppi che sappiamo con Mozart e Beethoven, con romantici e i moderni. Il quale quartetto è comunque un concentrato di sonorità passibili di volumi più ampi, moltiplicando il numero degli
esecutori e trasformandolo in un’orchestra d’archi. Esplorare e valorizzare i relativi e assai diversi piani sonori, come in fondo succede nei “concerti grossi” del maestro Corelli e dell’allievo Händel, è stato un obiettivo di pochi autori del Novecento. Forse il caso più fortunato è la Fantasia on a Theme by Thomas Tallis (1910) dell’inglese Ralph Vaughan Williams per archi divisi in due orchestre distinte più un quartetto di solisti, in una disposizione stereofonica di grande effetto.
Importante anche se meno popolare e di poco precedente (1905) è Introduction and Allegro op. 47 di altro inglese circa contemporaneo, Edward Elgar. L’organico è simile anche se non ha la medesima disposizione spaziale e analoga complessità armonica. Più che al ripensamento della densa polifonia rinascimentale voluto da Vaughan Williams, Elgar s’ispira al concertismo barocco, quello appunto del “concerto grosso” all’italiana, con evidente distinzione fra i “pochi” del quartetto e il “tanti” dell’orchestra. Ancor più marcata è la scrittura dei solisti, che pullula di acrobazie virtuosistiche impossibili a un complesso numeroso. In particolare, il violino si avvale del controllo che dello strumento aveva lo stesso Elgar. Tanto che gli svettanti e velocissimi passaggi nel registro acuto rimandano al miglior Vivaldi dell’Estro Armonico. Semplice nella sua apparenza di pezzo di bravura costruito come una breve introduzione lineare a una più ampia architettura, l’op. 47 di Elgar rivela una notevole finezza di articolazione. Un motto di fanfara serve come esordio e conclusione dell’ Introduction, fra increspature dinamiche e inserti melodici di origine popolare affidati alla viola, integrati da passaggi in eco fra “soli” e “tutti”. Una variante della fanfara iniziale serve come motivo portante del successivo e più ampio Allegro. Subito entra un’ampia sezione fugata su nuovo tema. Quindi tornano, in nuova veste, melodie presenti nell’ Introduction, nasce un “crescendo” che sfocia in una sonorità trionfale, per molti versi inaspettata in un complesso formato da soli archi.
Va aggiunto che le potenzialità timbriche e dinamiche latenti del rapporto fra la dimensione cameristica del quartetto d’archi e quella sinfonica dell’orchestra, quell’interazione fra volumi diversi ma omogenei continua tuttora a suggerire nuove musiche. L’eclettico e post-minimalista americano John Adams ha scritto un fortunato Absolute Jest (2012) per quartetto e orchestra con ampi inserti beethoveniani. Fra i contemporanei italiani, Antonietta Rosato ha da poco presentato (2017) un Divertissement per quartetto e orchestra e Nicola Campogrande è autore di Liberi tutti (2024), un lavoro analogo commissionato dall’Orchestra sinfonica di Milano.
Nel non piccolo repertorio per orchestra d’archi prodotto nell’Ottocento, spicca ovviamente la Serenata in do maggiore op. 48, composta velocemente (come spesso gli succedeva) da Čajkovskij nell’autunno del 1880, di ritorno da uno dei tanti (ben nove, fra 1862 e 1890) soggiorni nell’amata Italia e nel tempo in cui scrive composizioni popolarissime come Capriccio italiano e Ouverture 1812. La serenata è un miracolo di trasparenza, eleganza e leggerezza. Frutto riconosciuto della passione assoluta di Čajkovskij per Mozart, della sua cura nel nascondere con il velo di perduta classicità le intime ansietà che la sua biografia ben documenta. La natura e la qualità della musica è perfettamente riflessa nei titoli che troviamo apposti ai quattro movimenti, che appaiono davvero minimalisti, a tentar di nascondere una disposizione formale assai equilibrata, quasi fosse una sinfonia per grande orchestra, con tanto di tema ricorrente, ballabili alla francese, cantabilità italiana, antico melodizzare slavo. E ci ricorda appunto le lontane serenate mozartiane, all’aria aperta o notturne, per pochi strumenti e pochi amici. Anche perché, all’origine, l’op. 48 era concepita per un minimo quintetto d’archi e solo in seguito elevata a rango orchestrale.
Enzo Beacco
1772 - Haydn, trattenuto insieme alla sua orchestra ‘per troppo tempo’ nella residenza di campagna dal principe Esterházy, compone e mette in scena la Sinfonia 45 ‘degli addii’, dove nell’Adagio finale uno ad uno i musicisti smettono di suonare, spengono la propria candela e se ne vanno: è forse il primo sciopero degli orchestrali della storia.In California dodici soldati spagnoli, con due comandanti ed un sacerdote, fondano San Francisco, mentre a Boston con Samuel Adams già iniziano a circolare le prime idee sull’indipendenza delle colonie americane.
1905 - Nikolai Rimsky-Korsakov viene espulso dal Conservatorio di San Pietroburgo perchè sostiene gli studenti nelle loro richieste di riforme; in risposta gli studenti trasformano una rappresentazione di Kashchey l’immortale in una grandissima manifestazione di pubblica protesta. A Novembre, dopo la pubblicazione di numerosi articoli che rivoluzionano la fisica, Einstein teorizza l’equivalenza tra massa ed energia: E = mc².
1880 - Funiculì Funiculà diviene immediatamente un successo mondiale vendendo oltre un milione di copie (dello spartito) in un anno. Giulio Verne pubblica La casa a Vapore: un bizzarro viaggio con una casa su ruote trainata da un elefante meccanico attraverso l’India dell’epoca... non fu un grande successo editoriale. Edison brevetta la lampadina.