Concerto No. 1 Re mag, RV 549
L'ESTRO ARMONICO di Antonio Vivaldi, guida all'ascolto
Concerto No. 2 sol min, RV 578
Concerto No. 9 Re mag, RV 230
Concerto No. 5 La mag, RV 519
Concerto No. 6 la min RV 356
Concerto No. 8 la min, RV 522
Concerto No. 10 si min, RV 580
Concerto No. 11 re min, RV 565
Concerto No. 12 Mi mag, RV 265
NOTE DI SALA
Passato, presente e soprattutto futuro si ritrovano puntualmente rappresentati in L’Estro Armonico … Opera Terza, prima raccolta a stampa di concerti strumentali pubblicata da Antonio Vivaldi. Siamo nel 1711 e l’editore è Estienne Roger (1666-1722), ugonotto normanno emigrato ad Amsterdam che da tempo si era affermato come il più prestigioso stampatore di musica in Europa. Attivo dal 1698, inizialmente si limitò a copiare e ristampare lavori pubblicati da altri editori, dato che al tempo non esisteva il diritto d’autore. Presto però la migliore qualità della stampa e l’eccellente logistica distributiva (aveva agenti commerciali nei centri più importanti: Parigi, Londra, Bruxelles, Colonia, Dresda, Lipsia, Berlino…) convinse gli autori a rivolgersi direttamente a Roger. La sua stamperia, continuata fino al 1743 dal genero Michel-Charles Le Cene pubblicò non meno di 500 spartiti di grandi autori, soprattutto italiani: Albinoni, Caldara, Scarlatti, Torelli, Veracini, Corelli, Vivaldi, Locatelli, Geminiani, Handel, Tartini, Telemann. A ben vedere da quei torchi di stampa nacque la storia del concerto strumentale moderno. Ed è il vivaldiano L’Estro Armonico che segna il salto verso la modernità, appunto per la architettura a un tempo riassuntiva e progressiva. Il titolo stesso indica l’intenzione di combinare fantasia (estro) e geometria (armonia). Selezionando con cura dodici concerti fra i tanti (ormai varie centinaia) composti nei decenni precedenti ad uso del complesso d’archi del veneziano Conservatorio della Pietà, Vivaldi propose all’editore una vera e propria illustrazione dello stato reale e potenziale del concerto strumentale nel primo decennio del Settecento. La dozzina è opportunamente divisa in terna di quaterne, con la formula aritmetica 3x4=12. Il senso è: una terna dedicata al presente storico, una al futuro anteriore, una a un doveroso segmento intermedio. Il presento storico è la formula vigente del “concerto grosso”. Che prevede un gruppo limitato di solisti (“concertino”) che ha con gli altri componenti (“tutti”) un flessibile rapporto di alternanza e di integrazione. L’origine del genere risale ai primi del Seicento, quando finalmente la migliorata tecnologia degli archi e l’evoluzione della sintassi musicale iniziano a rendere indipendente il linguaggio dei suoni da quello delle parole. Dalla logica parlata del dialogo responsoriale fra un ampio coro di voci e un ristretto gruppo di cantori solisti si passa al dialogo strumentale fra archi tutti e archi soli. Il merito dell’innovazione è attribuito a Ludovico Grossi da Viadana (1564-1627), pioniere della transizione fra il vocale sacro e lo strumentale profano con una produzione vasta e diversificata che diffuse operando nel mantovano e nel bolognese con passaggio in Vaticano e immediati echi a Venezia e in Germania. A lui si deve anche la formalizzazione di quella pratica di stenografia armonica per accompagnare le melodie denominata “basso continuo” e destinata a qualificare l’intera età barocca. Ai suoi modelli si rifecero gli eredi bolognesi Alessandro Stradella (1643-82) e Giuseppe Torelli (1658-1708), a loro volta ispiratori di Arcangelo Corelli (1653-1713) che dalla nativa Romagna portò il nuovo stile ai fasti di Roma. Con Corelli, si affermò uno stile violinistico tutto nuovo, fatto di slanci melodici e di ornamentazioni virtuosistiche capaci di sfruttare appieno le conquiste tecnologiche dei liutai italiani, con i cremonesi Amati in prima fila. La produzione di Corelli violinista, direttore d’orchestra e compositore attivo per almeno un quarantennio si è dispersa e resta circoscritta alle sei raccolte a stampa. Di queste, le prime cinque (opere I-V) furono pubblicate a Roma fra 1681 e 1700. Ciascuna è formata da dodici sonate, definite “da camera” perché il loro ridotto organico privilegia il ruolo del violino principale. Sono l’evoluzione del modello del precursore Stradella e il fondamento del genere moderno di sonata, diffuso dal Settecento ai nostri giorni. L’ultima raccolta (opera VI) uscì nel 1714, poco dopo la morte di Corelli, curata dal sagace editore Roger ad Amsterdam, incoraggiato dalla fortunata operazione con L’Estro Armonico di Vivaldi. Riunisce dodici composizioni definite “Concerti grossi con duoi violini e violoncello di concertino obbligati e duoi altri violini, viola e basso di concerto grosso ad arbitrio, che si potranno raddoppiare”.. Il ruolo dei “soli” e dei “tutti” risulta così ben definito e rappresenta lo stato dell’arte fra fine Seicento e primo Settecento, imitato e ripreso da tanti contemporanei, compreso Handel, che ne farà uso ancora trent’anni dopo, con la sua op. 6, stimolato dall’editore inglese Walsh, ingolosito dal successo del concorrente Roger al punto da copiarne le edizioni di Vivaldi e Corelli. È questo lo schema di “concerto grosso” che Vivaldi applica in quattro dei suoi concerti di L’Estro Armonico, con una ulteriore variante: un concerto (n. 4) chiede quattro violini solisti e negli altri tre (m. 1, 7, 10) si aggiunge un violoncello. Ben diverso è l’approccio di Vivaldi nei concerti n. 3, 6, 9, 12. Un solo violino dialoga e si integra con il “tutti” orchestrale, alterando dunque non poco i reciproci volumi sonori. Il ruolo del solista viene esaltato, il dialogo diventa spesso confronto dialettico, finisce che l’insieme orchestrale si limita a fare da eco e accompagnare. Vivaldi non è ovviamente il primo a impostare il concerto strumentale in questo modo. Il già citato Torelli lo precede nello scrivere concerti per violino e orchestra e di sicuro fu attivo (oltre che nella nativa Bologna) in Germania, collaboratore e consulente dell’editore Roger di Amsterdam, ben noto anche a Venezia, con ampia circolazione di musiche sue stampate e manoscritte in tutta l’Europa musicale. Siamo sempre nell’ultimo quarto del Seicento, in una società in cui la circolazione musicale è fortissima e le interazioni stilistiche perfino superiori alle odierne. Vivaldi, più giovane di una ventina d’anni, coglie, apprende, sviluppa. Sono oltre 200 i suoi concerti per violino solo, quasi la metà del totale, in piccola parte pubblicati in raccolte organiche (appunto L’Estro Armonico op. 3, La cetra op. 4, Il cimento dell’armonia e dell’Invenzione op. 8, con Le quattro stagioni…). Che sono la base per il concerto solistico dei secoli a venire, sviluppato dagli allievi (indiretti) che si formano sulle sue partiture manoscritte prima, stampate poi: Francesco Geminiani, Pietro Locatelli, soprattutto (come vedremo) Johann Sebastian Bach. Nell’Estro armonico un funzionale elemento di transizione fra passato e futuro è la quaterna formata da una doppia coppia: una con due violini a fare concertino da soli (n. 5 e 8) o assieme a un violoncello (n. 2 e 11). In un certo senso si pone come esperimento sugli archi delle soluzioni timbriche che Vivaldi inventa per i suoi concerti per altri strumenti solisti: flauto, ottavino, fagotto, mandolino, tromba… Per tutto questo la prima raccolta a stampa di concerti vivaldiani ha l’importanza storica di uno snodo epocale, sintesi di almeno un quarto di secolo di invenzioni musicali proprie e altrui, diventata di dominio pubblico grazie allo sviluppo della stampa musicale e dall’efficiente logistica dell’Europa di allora. Che non fu però sufficiente per garantire una immediata immortalità. Entro pochi decenni l’esperienza vivaldiana fu dimenticata, soppiantata dalla fortuna (provvisoria) dei successori. Solo quasi due secoli dopo, a inizio Novecento l’arte e l’innovazione di Vivaldi ritrovò il grande pubblico. Merito del suo maggiore allievo (putativo) Johann Sebastian Bach, anch’egli riscoperto dopo un secolo (quasi) di oblio. Furono rivalutate (a fine Ottocento) le trascrizioni che un Bach ancora giovane aveva fatto da manoscritti e stampati di Vivaldi, ben sei appunto dall’ Estro armonico. Per clavicembalo solo trascrisse i concerti n. 3, 9 e 12, per organo i n. 8 e 11, addirittura per quattro clavicembali e orchestra il n. 10, dai rispettivi originali per violino solo, due violini (più violoncello) e quattro violini (e violoncello). È una selezione che rispetta la filosofia tutta della raccolta originale e che dimostra, ancora una volta, la sagacia di entrambi quei giganti della musica. Il programma di stasera intende proprio esaltare l’importanza storica e artistica dell’Estro armonico. Sono ben nove concerti concentrati in una sola serata. Si inizia con l’omaggio al passato/presente di allora, con il primo che compare nell’edizione originale, il Concerto n. 1 in Re maggiore, probabilmente uno dei più antichi ad essere stato composto, nel classico stile del “concerto grosso”, con solisti quattro violini più un violoncello (che ha un suo assolo soltanto nel primo movimento). Nel Concerto n. 2 in sol minore i solisti diventano tre (due violini e violoncello) mentre i movimenti passano dai consueti tre a quattro, con un „Adagio“ in apertura e due „Allegro“ che incastonano un delizioso „Larghetto“. Il violino diventa unico solista nel „moderno“ Concerto n. 9 in Re maggiore, uno dei tre trasferito da Bach al solo clavicembalo. Dopo il concerto “di transizione” per due violini n. 5 in La maggiore abbiamo il n. 6 la minore per violino solo, sempre rispettando l’architettura in tre movimenti allegro-adagio-allegro. La seconda parte del programma di stasera inizia con un altro concerto “intermedio” per due violini, il n. 8 in la minore mentre il n. 10 in si minore, per quattro violini e violoncello, è certamente legato alla formula più antica del “concerto grosso”, e reso famoso dalla trascrizione bachiana per quattro clavicembali e archi, oltre che dalle ricadute stilistiche sui celeberrimi Concerti brandeburghesi. Il Concerto n. 11 re minore, con solisti due violini e violoncello, ha la memoria della seicentesca sonata cameristica in trio, con cinque movimenti disposti a simmetria centrale: due lenti che intercalano tre allegri. Ha uno strepitoso attacco per due violini soli (senza basso) e, ben preparato da sapienti pause, un magnifico esempio di contrappunto strumentale. Inizialmente attribuita al figlio Wilhelm Friedemann, una eccellente trascrizione per organo è risultata opera del padre Johann Sebastian, autore anche della versione per clavicembalo del Concerto No. 12 in Mi maggiore, il più moderno dei concerti vivaldiani per violino solista, per varietà formale, finezza di melodie, inventiva virtuosistica.
Enzo Beacco
Dal 1702 al 1711 - Negli anni in cui Vivaldi, appena ordinato sacerdote, all’Ospitale della Pietà scrive più di 100 concerti, 12 dei quali poi pubblicati nel 1711 come L’Estro Armonico Op.3, il mondo musicale vede un giovanissimo G. F. Händel diventare oganista nella cattedrale di Halle, e un altrettanto giovane J. S. Bach completare la sua educazione musicale per poi diventare musicista di corte a Weimar; entrambi comporrano in quel periodo centinaia di capolavori musicali, tra cui Rinaldo, la prima opera in Italiano rappresentata a Londra. Leibniz pubblica la descrizione del codice numerico binario, che resterà una idea teorica sino all’invenzione dei computer, 250 anni dopo. Per un errore di produzione, a Berlino un tipografo inventa l’inchiostro “blu di Prussia”, mentre Halley si rende conto che la cometa apparsa nel 1682, 1607, 1531 e 1456 è sempre la stessa e predice correttamente il suo ritorno nel 1758. Daniel Defoe viene imprigionato per quasi un anno per aver scritto un libretto satirico contro la regina, finendo in bancarotta dalla quale solo il successo del suo Robinson Crusoe lo risolleverà anni dopo. Lo zar Pietro il Grande si fa costruire in 3 giorni una lussuosa baracca in legno nel luogo dove aveva deciso di costruire San Pietroburgo: è il primo “palazzo imperiale” della città ed esiste tutt’ora. Nel mar dei Caraibi il galeone San Jose esplode durante una battaglia ed affonda, inabissandosi con un tesoro di 300 tonnellate d’oro.