GUIDA ALL'ASCOLTO - ETTORE PAGANO, MAXIMILIAN KROMER

Teatro G. Verdi Trieste, Riva 3 Novembre 1, Trieste
Lunedì 22 aprile 2024, ore 20:30

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Mario Castelnuovo-Tedesco (Firenze 1895 - Beverly Hills 1968)

Toccata

Francis Poulenc (Parigi 1899 - Parigi 1963)

Sonata per violoncello e pianoforte FP143

Johannes Brahms  (Amburgo 1833 - Vienna 1897)

Sonata per violoncello e pianoforte n.2 in fa maggiore op.99

NOTE DI SALA

Troppo spesso, occupandosi di un brano musicale solistico si tende (anche giustamente) a concentrare l’attenzione soltanto sull’opera in sé e sul suo autore, magari allargando lo sguardo su contesti storici e arti coeve. Trascurando invece coloro che quello stesso brano hanno ispirato, aggiustato, portato al successo e, magari, pure finanziato.   Il programma di stasera offre l’opportunità di ricordare tre grandi strumentisti che hanno legato il loro nome alle tre composizioni che ascolteremo. Composizioni non a caso scritte da autori pianisti per formazione e che con il violoncello non erano sempre familiari. Si tratta di violoncellisti di diversa nazione e formazione: l’ucraino americanizzato Gregor Piatigorsky, il francese Pierre Fournier e il tedesco Robert Hausmann. Meritano tutti un breve ricordo.

Gregor Piatigorsky (Grigorij Piatigorskij) nasce nel 1903 a Dnypro, in Ucraina e ha talento tale da essere subito accolto dal conservatorio di Mosca e già a quindici anni entra nell’orchestra del Teatro Bolshoij. Fugge dalla Rivoluzione del 1917 su un carro bestiame, ripara prima in Polonia e poi in Germania, dove campa di stenti, suona in cabaret ma riesce a perfezionarsi con ottimi maestri. Lo scopre Wilhelm Furtwängler, che lo vuole primo violoncello della Filarmonica di Berlino. Così arriva il successo internazionale. Anche quello economico, perché nel 1937 sposa l’ereditiera Jacqueline de Rothschild.

La bravura è tale da convincere a suonare stabilmente con lui artisti del calibro di Arthur Rubinstein e Jasha Heifetz, oltre a Vladimir Horowitz, Nathan Milstein e tanti altri. Fra i direttori troviamo Leopold Stokovski, Willem Mengelberg e soprattutto Arturo Toscanini. È appunto sotto la direzione di Toscanini che Piatigorsky nel 1935 suona a New York la prima assoluta del Concerto per violoncello e orchestra ci dedicatogli dal fiorentino Mario Castelnuovo Tedesco, al tempo astro splendente del panorama compositivo italiano, eccellente pianista (di scuola napoletana) e prezioso collaboratore di un Alfredo Casella al tempo impegnato a rinnovare la tradizione strumentale italiana. Prima di essere costretto a emigrare negli Stati Uniti a causa delle leggi razziali.

Dopo il successo di quel concerto, ammirato dall’interprete, Castelnuovo Tedesco scrive subito un lavoro cameristico su misura per entrambi. Per parte sua vuole rendere omaggio alle radici barocche e italiane, con un titolo (Toccata) che rimanda al Seicento di Frescobaldi e una struttura che appare libera sequenza di tre sezioni secondo la consueta formula “allegro-adagio-allegro”; ma che invece è (anche) una sottile elaborazione di una sola cellula tematica. Su misura per Piatigorsky è una scrittura che, nei tempi veloci, chiede di esibire un fantasmagorico virtuosismo e, nel tempo lento, vuole una suprema capacità di far cantare lo strumento. Per se stesso (come pianista), Castelnuovo Tedesco scrive una parte non agevole, che comunque si avvale di precedenti esperienze come accompagnatore di violoncellisti eccellenti, quali il catalano Gaspar Cassadò e l’asburgico Emanuel Feuermann.

 

Pierre Fournier appartiene all’ importante generazione di violoncellisti francesi del Novecento, fra i quali troviamo André Navarra, Maurice Gendron, Paul Tortelier: tutti ispiratori di un prezioso florilegio di nuove partiture per violoncello. Fournier nasce nel 1906 da un generale dell’esercito francese e da un’ottima dilettante di musica. Si diploma al conservatorio di Parigi nel 1923, entra subito nel Quartetto Krettly e diventa nel 1925 violoncello solista nell’orchestra dei Concerts Colonne. Nel 1941, il pianista Alfred Cortot e il violinista Jacques Thibaud lo chiamano a sostituire, nel loro prestigioso trio, il violoncellista catalano Pau Casals, indisponibile a suonare in una Francia collaborazionista e occupata dai nazisti. La stabile presenza di Fournier nei programmi della radio filotedesca Radio Paris e l’attività come professore (dal 1941) di violoncello al conservatorio, gli procura, a fine guerra, un bando di sei mesi della sua attività concertistica in Francia.

La sua carriera continua, comunque, con grande successo, favorita dalla fortunata tournée americana del 1948 con il pianista Arthur Rubinstein, il violinista Joseph Szigeti e il violista William Primrose. Abbandonato l’insegnamento nel 1949, si concentra sul concertismo, lasciando mirabili incisioni dei capisaldi del repertorio per violoncello. Segnalazione particolare meritano la versione delle Suite per violoncello solo di Bach, l’integrale delle Sonate per violoncello di Beethoven assieme al pianista Friedrich Gulda, le due di Brahms con Wilhelm Backhaus. Importante è il ruolo svolo da Fournier nel creare un nuovo repertorio. Per lui o su sua commissione scrivono concerti con orchestra Albert Roussel (1937 e 1939), Arthur Honegger (1939), Othmar Schoeck (1947), Bohuslav Martinů (1955), Jean Martinon (1963), Frank Martin (1966).

Nel 1940 Fournier chiede anche all’amico Francis Poulenc di scrivere per lui una sonata. Ma il progetto non va subito in porto. Poulenc non solo è di formazione pianistica, portato a scrivere per il suo strumento (o assimilabile, come il clavicembalo moderno di Wanda Landowska), per la voce umana, per strumenti a fiato. Ammette anche di avere difficoltà con il suono degli archi, di violino e violoncello in particolare. Il suono dolce e vibrato non fa per lui, che si dichiara (è) antiromantico, ostile a Beethoven, a Wagner, all’Ottocento tedesco. Accetta appena Debussy ma non le vaghezze impressioniste. Preferisce l’ironico disincanto di Satie. Non a caso aderisce al ben noto Group des six che vuole musica fresca e rilassata, all’aria aperta e da vivere nei parigini anni Venti liberati dall’incubo della Grande Guerra e inconsapevoli della futura catastrofe. Fra l’altro, proprio in quella fine degli anni Trenta, Poulenc vive la rivelazione della religione, che lo porta a ripensare le scelte stilistiche della gioventù e a orientarsi a temi spirituali. Il tutto assieme a crisi depressive altalenanti ma profonde, in assoluta antitesi con la sua immagine esterna di persona scanzonata e gioviale.

Poulenc lavora alla nuova Sonata per violoncello per qualche mese. Abbandona il progetto per impegnarsi in una sonata per violino che, pur a fatica, riesce a completare nel 1943. Non è soddisfatto nel risultato, che rivede nel 1948 senza molta convinzione sua e di critici ed esecutori. Finisce col cedere alle insistenze di Fournier. Chiede e accetta consigli. Finalmente la sonata per violoncello vede la luce, il 18 maggio 1949 alla Salle Gaveau di Parigi, con l’autore al pianoforte e il dedicatario Fournier al violoncello. Successo buono, ma non tale da soddisfare Poulenc che rimette mano al testo nel 1953.

Nella versione finale, è evidente l’intervento di Fournier nell’equilibrare i rapporti sonori fra i due strumenti. A differenza del violino, il violoncello non riesce a svettare nel registro acuto e di regola si trova a competere col pianoforte nei registri medio e grave, che ovviamente lo sfavoriscono. Ecco allora che Poulenc, con Fournier, ricorre spesso a trilli prolungati, a pizzicati, a spunti melodici quando al pianoforte sono riservati passi di accompagnamento puro. Che non sono poi così frequenti, perché spesso è la tastiera che anticipa incisi ritmici e sussulti armonici che il violoncello riprende e ha poca occasione per elaborare, perché la scrittura sempre dinoccolata del partner continua a propone aperture nuove, all’insegna della non mai dimenticata origine surreale del linguaggio di Poulenc. Si nota soprattutto nel movimento iniziale, dove la scelta di non utilizzare la forma sonata classico-romantica porta non a interazione dialettica ma a sovrapposizione di segmenti, a suo modo cubista. La forma è molto libera, con una lunga parte iniziale che precede una più lirica, uno spunto “alla marcia”, una ripresa variata dell’”Allegro” iniziale.

Scrittura simile si ha anche negli altri due movimenti veloci. Il terzo è uno Scherzo rivisitato con passi di danza. Il finale, preceduto e chiuso da uno spunto neobarocco, si snoda come incrocio fra contrappunto e spunti di variazione. Si distingue il movimento lento, intitolato Cavatine, lontana memoria di un mitico quartetto di Beethoven e ancor più di un pezzo chiuso di opera italiana. Qui il violoncello canta una melodia finalmente ampia e distesa con il pianoforte che accompagna talvolta denso talaltra fluido, assumendo spesso funzione di controcanto, alla maniera (appunto) di duetto melodrammatico. Pur nel continuo cambiare dei toni e dei ruoli fra gli strumenti, il passaggio di Poulenc dallo stile scanzonato a quello meditativo non potrebbe essere più evidente. Avremo occasione di riprendere il tema a proposito del prossimo concerto, interamente dedicato a Poulenc.

Altro demiurgo di nuove musiche per violoncello è Robert Hausmann. Nato in Sassonia nel 1852 da una famiglia di accademici (in mineralogia), inizia subito a studiare violoncello con Theodor August Müller, componente di quel Quartetto Müller considerato, a metà Ottocento, il degno successore del Quartetto Schuppanzigh così legato all’ultimo Beethoven. Hausmann si perfeziona a Londra con l’italiano Alfredo Piatti, eccellente concertista (in coppia anche con Liszt e Mendelssohn), didatta, autore dei ben noti 12 capricci per violoncello solo concepiti alla maniera di Paganini. Tornato in Germania, Hausmann entra presto in formazioni di quartetto, diventa nel 1876 docente alla Königlische Hochschule für Musik di Berlino. Vi incontra il direttore e famoso violinista Josef Joachim che nel 1879 lo invita a far parte del Quartetto che porta il suo nome, e che farà la storia del genere nel trentennio successivo.

È durante una tournée del 1885 che Hausmann incontra Brahms, grande amico di Joachim. Scatta una immediata intesa personale e artistica. Brahms scrive per lui la propria seconda Sonata op. 99 per violoncello, il doppio Concerto op. 102 (con violino affidato a Joachim), il Trio op. 114 con clarinetto (parte su misura per il clarinettista Richard Mühlfeld). Succede tutto fra 1886 e 1893, quando pare sia stato l’incontro con Hauptmann (anche con Mühlfeld) a far desistere un Brahms stanco e depresso dal proposito di chiudere la sua vita creativa con la Quarta sinfonia op. 98 (1885).

Di sicuro la Sonata in fa maggiore è una delle più intense composizioni dell’ultimo Brahms. Si capisce fin dall’attacco, con un aggressivo doppio salto, verso l’alto e subito verso il basso del violoncello su turbinosa base del pianoforte. Ecco cosa ne scrive l’amico critico Eduard Hanslick: “Nella Sonata per violoncello comanda la passione, infuocata al limite della veemenza, ora con tono di temeraria sfida, ora ripiegandosi su sofferto lamento… Con quale forza attacca il primo “Allegro” e come la tempesta continua nei successivi “Allegro”! È vero che la passione si stempera nel quieto e dolente “Adagio” ma solo per trovarsi riconciliata nella sintesi finale. Mentre il battente pulsare del movimento precedente ancora riverbera, e resta il pathos che caratterizza la Sonata nel suo insieme.”

Quanto nella perfezione della scrittura del violoncello sia merito dei suggerimenti di Hausmann non si sa. Di sicuro Brahms è abilissimo nel combinarla con la densità accordale del suo pianismo, aspro e complesso come sempre. Infatti, più che di un duo da camera, la seconda Sonata appare una struttura sinfonica in cui la diversa dimensione timbrica non è un surrogato, ma un compendio delle imponenti sonorità orchestrali.

Si può affermare che, anche grazie a Hausmann, nell’estate del 1886, durante le vacanze dedicate alla composizione nel ritiro di Hostettin, sullo svizzero lago di Thun, Brahms ritrova lo slancio e il fuoco delle composizioni giovanili, iniziando quel luminoso crepuscolo che ben conosciamo: Trio e Quintetto con clarinetto, doppia coppia di sonate per violino e viola, meraviglioso saluto con le quattro collane di Klavierstücke.

La seconda Sonata per violoncello e pianoforte è la prima ad essere completata in quel 1886, eseguita per la prima volta in privato a Berlino il 14 novembre, in pubblico a Vienna il 24 dello stesso mese e poi portata in tournée in varie città tedesche. Sempre con Hausmann al violoncello e Brahms al pianoforte.

Enzo Beacco

Curiosando

1935 Insieme al Concerto n.2 per violino di Prokofi ev, alla NBC radio nasce la Hit Parade, viene inventato un nuovo tessuto chiamato nylon e venduta la prima birra in lattina. Il transatlantico Normandie, progettato in stile Art Deco, fa il suo viaggio naugurale e Pablo Picasso dipinge la Jeune Fille Endormie.

1948 Due grandi debutti in televisione: Arturo Toscanini, dirigendo l’orchestra della NBC, e l’Otello di Verdi dal Metropolitan di New York, mentre la CBS inventa il long playing (LP) in vinile. Pablo Neruda . costretto a scappare dal Cile dopo aver pubblicamente condannato la repressione politica in atto.

1866 Gabriel Faurè. vince il posto di oganista alla chiesa del Santo Salvatore a Rennes, in Bretagna. Mendel pubblica il suo trattato sull’ereditarietà genetica, e Thèophile Thor.-Bürger fa riscoprire le opere di Jan Vermeer dopo quasi due secoli di oblio, pubblicandone il catalogo completo.