Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
Sonata in si minore, BWV 1030 (1718-1723)
Andante - Largo e dolce - Presto - Allegro
Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
Sonata in si minore, BWV 1030 (1718-1723)
Andante - Largo e dolce - Presto - Allegro
Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
Trio Sonata in Sol maggiore, BWV 1038 (1729)
Largo - Vivace - Adagio - Presto
Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
Fantasia sul flauto di Bach
Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
Fantasia sul flauto di Bach
Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
Fantasia sul flauto di Bach
Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
dall’Offerta Musicale, BWV 1079 (1747):
Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
dall’Offerta Musicale, BWV 1079 (1747):
Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
dall’Offerta Musicale, BWV 1079 (1747):
Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
dall’Offerta Musicale, BWV 1079 (1747):
Johann Sebastian Bach (Eisenach 1685 - Lipsia 1750)
dall’Offerta Musicale, BWV 1079 (1747):
Con questo appuntamento – come si diceva due settimane fa – si chiude quel dittico il cui programma è strutturato in brevi lavori che hanno la specifica funzione di dare una visione d’insieme ad un preciso fenomeno musicale. Stasera è Bach ad essere al centro dell’attenzione, in un percorso di stile ben delimitabile cronologicamente eppure più complesso da decrittare nel suo estendersi oltre la mera esternazione esecutiva. A questa funzione vorrebbero supplire le presenti note: a definire non tanto gli aspetti tecnici di queste pagine quanto la loro funzione direzionale, complessa, articolata che costruisce un’opera alternativa agli originali che si definisce come totalità chiusa e compiuta, come il pensiero Barocco (ed il Classicismo) avevano (ed avrebbero) postulato.
Con Bach si assiste alla nascita d’una concezione alternativa alla vocalità dilagante del suo tempo, ad una sorta di drammaturgia della “voce” (non tanto e non solo umana perciò) che s’emancipava dal canto lirico. All’origine della nostra tradizione teatrale europea, difatti, l’opera partecipa d’una società d’apparato “prodiga in sontuose magnificazioni dell’apparenza”, per riprendere i termini utilizzati dal sociologo francese Gilbert Durand: d’una società, cioè, altamente aristocratica che fa bella mostra della sua munificenza di cui l’opera è il suggello, la sigla ideologica. A questo apparato reagisce Johann Sebastian Bach, amando (e prescindendo allo stesso tempo da) quella cultura italiana che regolava l’intero mondo del suo tempo. L’italiano, lingua cosmopolita dell’opera, egemonica e pretenziosa verso un universalismo che tutto deve governare e nominare, viene progressivamente svuotato della sua funzione organizzata e procedurale, a favore di quella che verrà denominata successivamente (dai Romantici) Muttersprache. L’irruzione di questo concetto, per il quale la natura dell’uomo non è universale (grande utopia del Barocco) ma formata da una tradizione, da una storia, da una cultura, è per Bach l’epifania d’un pensiero per il quale la natura umana è allo stesso tempo trascendente ed immanente: trascendente perché si fonda sulla sua stessa, propria natura; immanente perché non s’impone in vacue esteriorità ma è originaria ed originale. Dona il senso dell’Universale ma rimane dettagliatamente particolareggiata.
Come si traducono in musica, questa sera, i concetti appena esposti? Cominciamo dal primo lavoro in programma, la Sonata in si minore, BWV 1030: siamo alla corte del principe Leopoldo di Anhalt-Cöthen, ambiente luterano e severo, ma dove l’arte aveva un ruolo precipuo e veniva studiata seriamente. L’opera ne era bandita (e anche la musica in chiesa) ma la musica da camera, a destinazione domestica, lasciava ampi margini di libertà. E di sperimentazione. È in questo specifico ambito che, dal novembre 1717, Bach ha la possibilità di trasferire dall’universale operistico alla dettagliata “vocalità” strumentale le sue ricerche più appassionate. E “appassionato” non è aggettivo scelto a caso poiché è sufficiente ascoltare le prime misure di questo lavoro per rendersi conto dell’estrema piacevolezza cantabile e dell’ampia vena melodica che percorre queste pagine, assai distanti dal consueto rigore luterano che pervadeva Cöthen.
Anche il Trio Sonata in Sol maggiore, BWV 1038 respira dello stesso afflato melodico ma si addentra in un ambiente sociale ancor più lontano dall’aulico universalismo mitoagiografico dell’opera barocca: venne eseguita per la prima volta, infatti, in un concerto tenutosi in un caffè di Lipsia, un locale in cui, settimanalmente, le associazioni musicali studentesche si riunivano per suonare e che diede a Bach l’impulso a scrivere questo lavoro sereno, galante e vivace, la cui parte di violino (l’originale – almeno a giudicare dalle parti sopravvissute e copiate da Johann Sebastian Bach stesso – prevedeva una viola ed un violino, appunto) si avvaleva della “scordatura”, tanto per garantire una nota di colore in più.
La prima parte del programma si chiude con un trittico costruito ad arte dai due esecutori che, sommando pagine provenienti da diverse origini, edificano un piccolo monumento al particolare, alla “voce” strumentale: si parte dall’ipervirtuosistico Allegro della Sonata in Do maggiore, BVW 1033, divenuto negli anni oggetto di culto per esecutori particolarmente dotati, e si plana dolcemente sull’aria Aus Liebe will mein Heiland sterben, uno dei vertici della Passione secondo Matteo, in la minore, trascendente e rappresentativa allo stesso tempo, pura tragedia distillata in suono che lascia spazio in chiusura ai funambolismi lievi e sfuggenti della Badinerie (ultimo movimento della seconda Suite), ennesima incursione nel repertorio “basso” della musica del tempo, essendo questa una danza spigliata e scherzosa, in 2/4, che ben raramente si incontrava al di fuori del repertorio ballettistico del Seicento.
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La seconda parte è interamente dedicata ad alcune pagine dall’Offerta Musicale, BWV 1079, un lavoro che sembra rispondere perfettamente a quella nozione di “epifania d’un pensiero” del quale si diceva più sopra e nel quale e per il tramite del quale la natura umana si ritrova a trascendere il particolare, pur facendone massiccio uso. Per meglio spiegarsi: elementi portanti di questo lavoro bachiano sono i Ricercari ed i Canoni, questi ultimi essendo la forma più stretta d’imitazione polifonica, quella che più d’ogni altra rispetta rigorosamente la regola, il “canone” per l’appunto. Due voci o più si sovrappongono in imitazione di sé stesse entrando successivamente ad intervalli ravvicinati che, finché non si verifica una modifica del tema originale nelle diverse parti (facendo così scattare la cadenza conclusiva), continuano a rincorrersi ad infinitum. Questo meccanismo utilizza tutti gli artifici dell’imitazione (movimento contrario delle parti, o retrogrado, per aumentazione o diminuzione) e si distingue dalla fuga tanto per la sua rude semplicità quanto per il suo rigore. È la metafisica aritmetica (non matematica) della combinazione sonora, interamente determinata dal meccanismo combinatorio: ingegnosità, abilità suprema nell’arte della polifonia (che verrà superata soltanto, due anni dopo, dall’Arte della Fuga) che però non cedono mai al formalismo soffocante. Sensibilità, emozione e luce risplendono sempre in ciascuna di queste pagine, scritte – parrebbe, prescindendo perciò dalla vulgata del dono fatto a Federico di Prussia – come contributo all’associazione musicale della quale Bach, dal giugno del 1747, faceva parte. Diretta da Lorenz Mizler, esigeva dai suoi iscritti un invio annuale che poteva essere una comunicazione teorica o un’opera di particolare abilità contrappuntistica (e Bach aveva infatti esordito con la Variazioni canoniche per organo). È perciò assai probabile che questa composizione non avesse per fine il solo omaggio a Federico II; la cura nell’edizione a stampa lascia supporre che Bach la considerasse come contributo da presentare all’associazione di Mizler per il 1748.
L’Offerta Musicale si apre con un Ricercare a tre voci (per tastiera) che ritroviamo in questo programma: un componimento dal tono equilibrato e severo, definito da Luc André Marcel (che lo associa al secondo Ricercare, quello a 6 voci) come “una delle più sapienti e sontuose fughe esistenti al mondo”. I dieci Canoni che seguono, dei quali tre vengono qui presentati, sono letteralmente degli enigmi e come tali sono stati risolti da due allievi di Bach, Johann Friedrich Agricola e Johann Philipp Kirnberger, musicisti dell’orchestra di Corte, i primi a risolverli. Il Trio Sonata in do minore è una delle rare sonate in trio bachiane che obbediscano alla forma tradizionale: in tono galante e fortemente melodico, sfrutta compiutamente il cosiddetto “tema reale”, non solo nel primo movimento ma anche in tutte le voci in alternanza nel secondo, lo lascia assente ma lo suggerisce nel terzo e lo infine esposto in ritmo ternario, molto ornamentato, nel quarto. Questa particolare versione proviene specificamente dalla biblioteca personale di Jean-Pierre Rampal ed è perciò un valore aggiunto al già ampio valore prodigato da questo intrigante programma.
Pierpaolo Zurlo
Nell’anno di nascita di Bach, a Venezia – in occasione della visita del duca di Brunswick-Lunemburg, Ernesto Augusto, vescovo di Osnabruck e primo elettrore di Hannover – viene allestita una naumachia nelle “pescherie” di villa Contarini, residenza di Marco Contarini, primo Procuratore di San Marco. Sotto gli occhi di tutti gli astanti si svolgono battaglie navali simulate tra “galeotte” e “brigantini” da 15 e 14 banchi da remo: 200 figuranti, 84 dei quali rematori, si affrontano a suon di speronamenti, lanci di innocui “proiettili” e fragorosi abbordaggi che rendono il sontuoso festeggiamento indimenticabile.
A Firenze, fino al 1750 (anno della morte di Bach), si festeggia come primo giorno dell’anno non il 1° Gennaio ma il 25 Marzo, giorno in cui la Chiesa celebra l’Annunciazione. In quell’anno, il Granduca di Toscana Francesco Stefano di Lorena introduce il calendario Gregoriano anche a Firenze per conformarla a tutte le altre città (che già da due secoli si erano adeguate). L’antica tradizione rimane però in vita tant’è che ancor oggi, il 25 Marzo, Firenze ricorda questa particolare tradizione facendo partire un corteo storico dal Palagio di Parte Guelfa che, dopo aver attraversato la città, raggiunge la chiesa della Santissima Annunziata per offrire in omaggio dei gigli bianchi al miracoloso ritratto lì custodito.